Ho sempre creduto che con l'amore si potesse raggiungere ogni scopo, si potessero scalare alte montagne e si potessero rompere le dighe più enormi per annaffiare di nuovo le valli, ma mi ero sbagliato e solo adesso me ne sto rendendo conto, talvolta, anzi spesso, l'amore non basta.
Avevo circa 15 anni e vivevo in un paese provinciale sperduto nell'aperta campagna, la città vera e propria, il capoluogo di provincia distava circa 70 Km e al tempo non c'erano tutte le possibilità di trasporti che abbiamo adesso, eravamo muniti di una ferrovia ma il treno fermava saltuariamente alla nostra stazione, primo perchè la linea era poco importante e secondo perchè chi voleva mai fermarsi in un paese dove oltre la scuola, il municipio, la chiesa e il teatro parrocchiale non esisteva altro. Ma avevo 15 anni e per me era come abitare in una metropoli, adoravo camminare giornate intere tra le strette vie ciottolate, tra case quasi diroccate dove gli usci erano sempre aperti, e dove sentivi ben scandite, le voci degli abitanti che per un nulla o un qualche cosa, parlavano o spesso litigavano tra di loro. E poi improvvisamente trovarsi nella vastità dei campi, nei viottoli distinti da erbe pestate dall'usura dei passeggi del tempo, nei piccoli boschi di pioppi slanciati e bianchi, di isolati cipressi e faggi e platani e altri più grandi. La sera, nelle calde estati che al tempo parevano lunghe , noi ragazzi ci trovavamo nella piazza della chiesa per inventare un gioco, ogni sera diverso nel nome, ma uguale nel fare baccano e rincorrersi dietro.
Mio fratello, di me più grande di quasi 10 anni, aveva una vita diversa, sempre serio e scostante, appartato, difficilmente usciva con altri della sua età, quelle poche volte soltanto quanto c'era una festa che coinvolgeva tutto il paese e in cui affluivano gente anche di altri vicini borghi, ma era solito rientrare molto prima di me e i miei genitori. Avevo un rapporto con lui, comunque, stupendo, io ero l'unico che forse sapeva capirlo, spesso ci trovavamo a fianco a fianco seduti sul letto,
quasi a sfiorarci la mano, e trascorrevamo un lungo tempo in silenzio, quasi parlassimo reciprocamente, e penso e sono sicuro che accadeva davvero, perchè lui era così che comunicava e io sentivo la sua voce e comprendevo il suo fantastico pensiero. Sono ancora sicuro di sentirlo raccontare di voli pindarici sulle nuvole bianche, di stelle cadenti brillanti e di fate e di regine camminare sui monti e sulle valli, conquiste di cavalieri e dimore di castelli e manieri. Era un mondo, il suo, fatto di fiabe e di racconti, e mi voleva un bene enorme sapendomi disposto ad assecondarlo e a stare con lui senza chiedere niente.
I miei genitori si prodigavano per lui e per lui si consumavano l'esistenza, per loro era diventato una missione piena di rinunce e sacrifici, tutto l'amore che potevano offrirgli era stato usato, logorato, consumato e non avevano più voce in capitolo su niente, lui ormai li bistrattava e disobbediva a ogni loro preoccupazione e consigli, mai e ripeto mai hanno agito nei suoi confronti con caparbietà e con fare imperativo. E io guardavo e osservavo in silenzio, spesso in disparte facendo finta di leggere o giocare, ma erano tante le litigate, se così si possono chiamare le raccomandazioni dei miei genitori e il suo imperativo diniego ad ogni loro parola, che si svolgevano nelle cene e nei pranzi in quella modesta cucina.
E spesso poi finiva con Giovanni,così si chiamava, che stizzito e rosso in viso, si rinchiudeva nella sua camera e soltanto io poi più tardi bussando, avevo accesso nel suo mondo e spesso me lo ritrovavo con la testa sulle mie gambe ad accarezzarlo e a raccontargli qualche cosa di bello, perchè sempre lui quasi piangendo me lo implorava e chiedeva. Poi spesso si addormentava e io ritornavo, mesto ma sereno nel mio letto cercando di ritrovare il mio mondo reale.
Era una mattina di un primo di maggio, ero uscito presto da casa per andare a vedere la commemorazione dei lavoratori di una cava prossima al nostro paese, che avevano perso la vita tanti anni or sono durante lo scoppio di una mina per abbattere il monte. Non capivo l'importanza del gesto, di tutte quelle persone con le bandiere rosse come il sangue e di tutti quei discorsi che venivano fatti su un'improvvisato palco nella piazza principale di fronte al municipio, ma ci andavo perchè poi avrebbe suonato la banda del paese vicino, un paese molto più grande del nostro, e poi c'era il Gino, il papà di un mio caro amico di scuola, che suonava la tromba e la suonava davvero bene.
La festa era giunta al termine, i miei genitori insieme ad altre persone si incamminarono verso la cava , per portare dei fiori sul luogo dove era avvenuto l'incidente,io invece volli ritornare a casa, perchè sapevo che Giovanni non volendo uscire, come solito, sarebbe stato poi inquieto a stare troppo solo. Per strada incontrai anche un mio compagno di classe e persi con lui un poco del mio tempo, chiacchierando di figurine dei campioni di calcio, una collezione che al tempo andava davvero forte e che impegnava con scambi e con quasi vendite tra i ragazzi. Erano da poche suonate le undici, sentii i soliti rintocchi dal campanile, salii a due a due le scale e aprii la porta come solito, ovvero dopo aver girato la chiave bisognava darle una spinta perchè il legno si era ingrossato e scorreva male.
Rubai un biscotto sulla tavola di cucina, residuo della colazione e poi andai diretto in camera di mio fratello.
Un'ombra si stagliava sul pavimento all'ingresso, un'ombra nera e possente, un'ombra che altro non era che quella di Giovanni appeso con una corda al travicello della camera, che occultava la finestra chiusa dove sadicamente filtrava la luce del sole. Si era impiccato. Mio fratello ci aveva lasciato tutte le sue fantasie sepolte nel cuore e nella mente e niente era valso a farlo sopravvivere nonostante l'affetto portato e le cure inferte, mio fratello mi aveva abbandonato in un giorno di festa e mai seppi più festeggiarlo quel giorno funesto.
Mio padre e mia madre quel giorno invecchiarono improvvisamente sotto i miei occhi, e passarono pochi anni che prima mio padre per un infarto, poi mia madre, sicuramente per il forte dolore di tutto, ugualmente scoppiata nel cuore.
E io ancora adesso mi chiedo e mi imploro, ma l'amore davvero a volte non basta?, e comunque ti lascia una ferita aperta nel cuore che nessuno può credere di sanarla.
Avevo circa 15 anni e vivevo in un paese provinciale sperduto nell'aperta campagna, la città vera e propria, il capoluogo di provincia distava circa 70 Km e al tempo non c'erano tutte le possibilità di trasporti che abbiamo adesso, eravamo muniti di una ferrovia ma il treno fermava saltuariamente alla nostra stazione, primo perchè la linea era poco importante e secondo perchè chi voleva mai fermarsi in un paese dove oltre la scuola, il municipio, la chiesa e il teatro parrocchiale non esisteva altro. Ma avevo 15 anni e per me era come abitare in una metropoli, adoravo camminare giornate intere tra le strette vie ciottolate, tra case quasi diroccate dove gli usci erano sempre aperti, e dove sentivi ben scandite, le voci degli abitanti che per un nulla o un qualche cosa, parlavano o spesso litigavano tra di loro. E poi improvvisamente trovarsi nella vastità dei campi, nei viottoli distinti da erbe pestate dall'usura dei passeggi del tempo, nei piccoli boschi di pioppi slanciati e bianchi, di isolati cipressi e faggi e platani e altri più grandi. La sera, nelle calde estati che al tempo parevano lunghe , noi ragazzi ci trovavamo nella piazza della chiesa per inventare un gioco, ogni sera diverso nel nome, ma uguale nel fare baccano e rincorrersi dietro.
Mio fratello, di me più grande di quasi 10 anni, aveva una vita diversa, sempre serio e scostante, appartato, difficilmente usciva con altri della sua età, quelle poche volte soltanto quanto c'era una festa che coinvolgeva tutto il paese e in cui affluivano gente anche di altri vicini borghi, ma era solito rientrare molto prima di me e i miei genitori. Avevo un rapporto con lui, comunque, stupendo, io ero l'unico che forse sapeva capirlo, spesso ci trovavamo a fianco a fianco seduti sul letto,
quasi a sfiorarci la mano, e trascorrevamo un lungo tempo in silenzio, quasi parlassimo reciprocamente, e penso e sono sicuro che accadeva davvero, perchè lui era così che comunicava e io sentivo la sua voce e comprendevo il suo fantastico pensiero. Sono ancora sicuro di sentirlo raccontare di voli pindarici sulle nuvole bianche, di stelle cadenti brillanti e di fate e di regine camminare sui monti e sulle valli, conquiste di cavalieri e dimore di castelli e manieri. Era un mondo, il suo, fatto di fiabe e di racconti, e mi voleva un bene enorme sapendomi disposto ad assecondarlo e a stare con lui senza chiedere niente.
I miei genitori si prodigavano per lui e per lui si consumavano l'esistenza, per loro era diventato una missione piena di rinunce e sacrifici, tutto l'amore che potevano offrirgli era stato usato, logorato, consumato e non avevano più voce in capitolo su niente, lui ormai li bistrattava e disobbediva a ogni loro preoccupazione e consigli, mai e ripeto mai hanno agito nei suoi confronti con caparbietà e con fare imperativo. E io guardavo e osservavo in silenzio, spesso in disparte facendo finta di leggere o giocare, ma erano tante le litigate, se così si possono chiamare le raccomandazioni dei miei genitori e il suo imperativo diniego ad ogni loro parola, che si svolgevano nelle cene e nei pranzi in quella modesta cucina.
E spesso poi finiva con Giovanni,così si chiamava, che stizzito e rosso in viso, si rinchiudeva nella sua camera e soltanto io poi più tardi bussando, avevo accesso nel suo mondo e spesso me lo ritrovavo con la testa sulle mie gambe ad accarezzarlo e a raccontargli qualche cosa di bello, perchè sempre lui quasi piangendo me lo implorava e chiedeva. Poi spesso si addormentava e io ritornavo, mesto ma sereno nel mio letto cercando di ritrovare il mio mondo reale.
Era una mattina di un primo di maggio, ero uscito presto da casa per andare a vedere la commemorazione dei lavoratori di una cava prossima al nostro paese, che avevano perso la vita tanti anni or sono durante lo scoppio di una mina per abbattere il monte. Non capivo l'importanza del gesto, di tutte quelle persone con le bandiere rosse come il sangue e di tutti quei discorsi che venivano fatti su un'improvvisato palco nella piazza principale di fronte al municipio, ma ci andavo perchè poi avrebbe suonato la banda del paese vicino, un paese molto più grande del nostro, e poi c'era il Gino, il papà di un mio caro amico di scuola, che suonava la tromba e la suonava davvero bene.
La festa era giunta al termine, i miei genitori insieme ad altre persone si incamminarono verso la cava , per portare dei fiori sul luogo dove era avvenuto l'incidente,io invece volli ritornare a casa, perchè sapevo che Giovanni non volendo uscire, come solito, sarebbe stato poi inquieto a stare troppo solo. Per strada incontrai anche un mio compagno di classe e persi con lui un poco del mio tempo, chiacchierando di figurine dei campioni di calcio, una collezione che al tempo andava davvero forte e che impegnava con scambi e con quasi vendite tra i ragazzi. Erano da poche suonate le undici, sentii i soliti rintocchi dal campanile, salii a due a due le scale e aprii la porta come solito, ovvero dopo aver girato la chiave bisognava darle una spinta perchè il legno si era ingrossato e scorreva male.
Rubai un biscotto sulla tavola di cucina, residuo della colazione e poi andai diretto in camera di mio fratello.
Un'ombra si stagliava sul pavimento all'ingresso, un'ombra nera e possente, un'ombra che altro non era che quella di Giovanni appeso con una corda al travicello della camera, che occultava la finestra chiusa dove sadicamente filtrava la luce del sole. Si era impiccato. Mio fratello ci aveva lasciato tutte le sue fantasie sepolte nel cuore e nella mente e niente era valso a farlo sopravvivere nonostante l'affetto portato e le cure inferte, mio fratello mi aveva abbandonato in un giorno di festa e mai seppi più festeggiarlo quel giorno funesto.
Mio padre e mia madre quel giorno invecchiarono improvvisamente sotto i miei occhi, e passarono pochi anni che prima mio padre per un infarto, poi mia madre, sicuramente per il forte dolore di tutto, ugualmente scoppiata nel cuore.
E io ancora adesso mi chiedo e mi imploro, ma l'amore davvero a volte non basta?, e comunque ti lascia una ferita aperta nel cuore che nessuno può credere di sanarla.
Roberto Busembai (errebi)
Immagine web
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