martedì 5 febbraio 2019

GIOVANNI BELLINI - PIETA'

Ci sono varie opere d'arte che colpiscono soltanto a vederle, magari senza neppure conoscerne la particolarità o addirittura il trascorso dell'artista stesso, ci sono opere che rimangono quando si ha la possibilità di ammirarle dal vivo, quasi toccandole, e una di queste per me è stata la PIETA' di GIOVANNI BELLINI.
Questo piccolo quadro, pensate soltanto 60x90, che raffigurato nei volumi d'arte pare ci vogliano metri di tela per poter rappresentare il tutto, invece il maestro è riuscito a offrire una magnificenza in piccoli spazi, tutto doveva essere concentrato sul significato dell'opera stessa, la Pietà. Sotto questo appellativo, pietà, si collocano tutte le raffigurazioni della Madonna che piange sul figlio morto raffigurato sovente rimarcando le ferite della croce, sul costato e la corona di spine, una rappresentazione questa tipica del periodo nel Nord- Europa. Bellini aveva già dipinto una pietà, ma la madonna era in piedi e non offriva al suo parere quella fisicità e trasporto che una madre ha nel perdere un figlio, perciò all'età di settant'anni, dando un colpo basso a chi lo credeva ormai sorpassato, dette una innovazione artistica non indifferente. Pose la Madonna seduta sulla terra, così facendo ne sottolineava l'umiltà e la desolazione, e in grembo mise il figlio morto disteso, un figlio che però ha soltanto accentuate le ferite dei chiodi, questo perchè la scena è tutta rivolta al volto della Madonna stessa, al suo dolore, lo strazio è rappresentato non da un viso contorto e straziato, ma da un silente dolore interno che si esprime in quel quasi cullare sulle braccia l'ormai figlio senza vita. Un dolore che non ha riscontro e che soltanto una Madre può provare. Il volto della Madonna di Bellini è invecchiato perchè in questo pathos si ripete lo stesso familiare gesto di una rappresentazione del Gesù bambino sulle ginocchia.
La figura è tutta racchiusa in un triangolo visivo quasi a rappresentare il simbolo della cristianità nel descrivere il Dio creatore. Dietro queste figure si apre un immenso e vasto paesaggio, che il Bellini ha costruito proprio per porre l'infinita distanza da ogni evento terreno e ponendo così l'attenzione e la devozione di ogni credente alle preghiere sulla Madonna e il suo figlio il Cristo.
Nel paesaggio ci sono molte piante e molti fiori, molto ben dettagliati e precisi, e sono espressamente voluti dal maestro perchè simboleggiano iconografie di fede, ad esempio il dente di leone non è altro che il lutto dei cristiani e la passione del Cristo, i fiori bianchi della fragola stanno a indicare la giustizia perfetta, i cardi, che si trovano dietro la testa del Gesù morto, identificano il dolore sia fisico che spirituale. Il grande ceppo tagliato che si staglia sulla destra della Madonna, è l'albero della vita, quello nominato nell'Eden, che secondo la tradizione pare sia stato usato per fare le tavole della croce. Un tocco geniale del Maestro, accanto al ceppo, c'è un ramo frondoso a testimoniare la speranza di una resurrezione.
Un quadro nel suo complesso pieno di indicazioni di fede ma anche un quadro dalle caratteristiche pittoriche molto innovativo, per chi volesse ammirarlo dal vero, si trova nelle Gallerie dell'Accademia a Venezia. Bellini era Veneto, e era figlio di un grande pittore, che poi fu proprio suo maestro e anche del fratello Gentile, e se vogliamo fare un poco di gossip di quel tempo, una delle loro sorelle, Nicolosia divenne moglie del grande artista Andrea Mantegna, di cui naturalmente Giovanni ne ha influenza e lo notiamo soprattutto nei suoi primi lavori.
Roberto Busembai (errebi)

domenica 3 febbraio 2019

COME UN PASSEROTTO FERITO

Arrivava ogni domenica, accompagnata da suo fratello, cortese, educata , vestiva in maniera semplice ma decorosa, mai un colore sgargiante ma tenue sfumature che adornavano il suo ancora fresco viso, nonostante avesse passato di certo i 40. Entrava nel cinema attraverso le porte scorrevoli tenute dal prodigo fratello, di lei superiore e con una poca più coscienza di vita che gli girava d'intorno, teneva una piccola borsetta in finta pelle opaca, la mostrava con il braccio in avanti,non tanto per farsi notare, ma per precauzione di non dover incontrare di scontrarsi con le porte o addirittura con qualche altra persona. I capelli arroccati con un ricciolo fugace alle parti che copriva le orecchie, un sorriso da parte, ovvero stancato dal tempo che si era divertito sulla sua mente e sulla sua anima innocente, due occhi brillanti che non dicevano niente o forse parlavano troppo di quello che dentro avrebbe potuto soffrire, se avesse avuto la fortuna di un poco comprendere o al massimo percepire. Entrava e di lei ricordo ben poco della sua voce, mai ti parlava o salutava parlando, lei salutava soltanto con il corpo avendo la cura di soffermarsi un momento davanti alla cassa, restando in claudicante movimento in silenzio e passiva, in attesa che il fratello, che a lui la parola di certo non mancava, avesse acquistato il biglietto. Poi come un piccolo passerotto ferito entrava nella sala con lo stesso suo avanzare imponendo la borsetta, seguiva il fratello che trovato il posto la faceva accomodare, e seduta con le gambe raccolte e la borsetta sulle cosce, restava assorta in silenzio e mai si disfaceva, seguiva il film che forse per lei altro non era che il suo mondo raffigurato che piano piano si districava. Una volta soltanto ricordo, al termine della rappresentazione, espresse con un giubilo quasi una pacata esclamazione il giudizio su quello che aveva visto e forse intuito di vedere, con il fratello che accanto assecondava e l'accompagnava, salutando, alla loro consueta vita comune.
Non so, dopo tanto tempo, se ricordo più con affetto quel piccolo essere "sottile" o la forza e la costante volontà e protezione che aveva il fratello maggiore nel dedicarle la sua già precaria vita sociale.
Ci sono nel mondo persone che non sono "un qualcuno" e non hanno fatto " un qualcosa", non sono piene di soldi e non elargiscono la loro massima sapienza o il loro straboccante diniego, ci sono persone "nel nulla" che donano amore soltanto a vederle, se poi si ha la fortuna di conoscerle bene, l'amore diventa un insieme che va oltre ogni misura, oltre la coscienza, oltre il tutto sapere.
Roberto Busembai (errebi)
Immagine web

sabato 2 febbraio 2019

COSA CREDI CHE IO NON POSSA?

Ma cosa credi
che io non possa più aspettare,
solo perchè il tempo
mi si è impresso
sopra il volto ancora sereno
di sperare,
non c'è ombra che
mi possa oscurare,
sarò certo in pacata
luce impressa,
ma cosa credi che io
non possa ancora amare
solo perchè l'inverno
mi è diventato parente
e non dovrei sentire più niente.
C'è sempre una finestra
aperta o che chiude male,
e da quella entra e esce
l'aria buona e quella malsana,
cosa credi
che io non possa più respirare
di quel sorriso che era
impresso sulla bocca
ogni giorno che vedeva sole,
sono oltre quella porta
e sto come l'aria fresca
chiedo permesso per entrare
ed uscire senza sosta.
Cosa credi che io non possa?
Roberto Busembai (errebi)
Immagine: Perez Jean-Luc

IL LIMITARE DEI PIOPPI

Vado camminando come un elefante poso le tracce ma infondono soltanto come un passerotto, e lascio nel cielo un alito leggero di profumo mis...