sabato 30 marzo 2019

MI TUFFO NELL'INFINITO

Mi tuffo nell'infinito
per comprendere lo spazio
che vige tra la normalità e la pazzia,
tra l'essere reale e la fantasia,
perchè solo provando il vuoto
di una sofferenza e di un dolore
si può capire il mare e il suo
cangiante umore.
Mi tuffo nell'infinito
e aspetto il volo di gabbiani
come se fossi onda
che aspetta l'altra
a trascinarmi via.
Roberto Busembai (errebi)
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giovedì 28 marzo 2019

PSYCHO

In una sera di pioggia battente, in fuga da una rapina, ha prelevato dall'ufficio un'ingente somma che sarebbe servita per l'acquisto di una proprietà per un cliente dell'agenzia immobiliare dove lavora, Marion Crane si trova a doversi fermare con la sua nuova auto, presso il primo motel che ha visto acceso sulla strada.
Bates Motel, il nome che tutti ricorderanno e che tutti avranno da ora in poi timore di poterci capitare.
A fianco di questo Motel c'è l'abitazione del proprietario che pare viva con sua madre, una vecchia ormai inferma e ridotta su una carrozzella al secondo piano dell'abitato.
E' un tetro posto, un luogo quasi abbandonato ma il proprietario simpatico, forse un poco strano, ma del resto a Marion va bene così, meno domande fa meglio è.
Ma la tranquillità del posto non è come appare e nessuno, ripeto nessuno può dimenticare quella doccia che Marion si presta a fare nella sua stanza! La sua ultima doccia!
Il resto non sto a raccontarlo, sopratutto per chi non lo avesse visto, ma questo agghiacciante film datato 1960 del grande Sir Alfred Joseph Hitchock, è di una spettacolarità e di un suspence incredibile, se poi pensiamo che al tempo non esistevano effetti particolari e tecnici da ingigantire il pathos delle scene, soltanto ( e non dico poco) un sottofondo musicale geniale.
Una storia di disturbo di personalità, da brivido, un terrificante caso che porta a riflettere di come una mente umana possa arrivare a tanto e con la più pacata tranquillità morale.
Da questo film ne uscirà una grande performance di Anthony Perkins che per sua “sfortuna” non riuscirà più a staccarsi dall'icona del personaggio in questione Norman Bates, tanto da riproporne una serie tra gli anni '80 e '90.
La casa dietro il Motel fu ispirata da un quadro di Edwrd Hopper “ The House by the Railroad” e esiste veramente, si trova nel villaggio di Haverstraw, NY.
Il personaggio di Norman Bates è ispirato a una vera figura che tra il '47 e '57 uccise due persone nel Wisconsin e con i resti delle vittime ci creava delle decorazioni casalinghe.
Nella famosa scena della doccia il coltello che affonda nella carne non si vede mai ma il fatto di supporlo e la musica sottofondo ( che Hitchcock non voleva, ma cambiò idea quando Bernard Herrmann gli fece sentire il suo commento musicale dove gli archi stridono come grida umane o di animali) sono riusciti a farla rimanere impressa e a farne un'icona del film stesso.
A concludere vi lascio con una frase del film detta da Norman Bates:
“ Il migliore amico del ragazzo è sua madre”!
Roberto Busembai (errebi)
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STORIA DI UN AMORE

E di questo sentimento
che mi lascio trattenere
che mi scivola nel come
e nel niente mi trattiene,
come argilla si compone
e trascina il mio nome
sulle scie di un veliero
che non è che uno straniero,
abbandonato sopra il mare
a combattere del temporale
lunghe piogge e lampi accecanti
e pensieri ancora tanti.
E di questo sentimento
mi trascino come un pentimento
e non trovo sulle mie orme passate
un residuo di rena asciutta
ma soltano un bagnato
che non è soltanto di sale.
Roberto Busembai (errebi)
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mercoledì 27 marzo 2019

FRANZ KAFKA - LA METAMORFOSI

Dalla pagina "Rileggendo"
“Una mattina Gregor Samsa, destandosi da sogni inquieti, si trovò mutato, nel suo letto, in un insetto mostruoso”....questo è il forte incipit di un libro che penso non abbia bisogno di presentazioni, ma allora perchè rinominarlo? Perchè al tempo stesso penso che sarebbe bene che tutti lo potessero rileggere, con il proposito questa volta, visto che l'effetto scabroso dell'insetto lo avete già digerito, prendersi cura del sottofondo più incisivo che questo libro offre e ammonisce.
La diversità mette paura, la diversità allontana persino persone care e persone di famiglia, la diversità minaccia il normale correre della vita, non si può star dietro a uno “scarafaggio” è riluttante, brutto e schifoso anche se ha un cuore e un'anima umana. La diversità è “voluta e meritata” perchè non si può divenire “scarafaggi” se non si è fatto o compiuto qualche cosa di brutto, la diversità è una punizione data dal cielo e sicuramente va oltraggiata proprio perchè derivata da un peccato....
Vi siete arrabbiati per quello che ho scritto sopra? Certo indubbiamente, ma se ci pensiamo bene non è poi tanto diverso da quello che effettivamente accade nella nostra società mondiale, Kafka era un comune cittadino come noi e come noi ha subito l'indifferenza degli altri, ha sofferto dei momenti di distacco dagli altri magari per una malattia o per chissà che altra cosa, Kafka ha saputo immettere in questo nobile racconto tutti i mali di una società basata soltanto sull'esteriorità delle cose e sul correre per produrre e guadagnare per vivere. Il disagio mentale di ognuno di noi.
Se per un attimo pensassimo a quante persone hanno letto questo libro, e vi assicuro che si può benissimo parlare di milioni, inconsciamente abbiamo creato un nucleo, una società intera e di questi, tutti quanti ne sono rimasti inorriditi, arrabbiati, disgustati non tanto dallo “scarafaggio” ma da quello che lo scarafaggio significava, eppure nessuno di questo insieme ha cambiato il suo correre normale di vita, e siamo tutti ricaduti nel nostro piccolo disagio mentale. Se poi pensiamo che questo libro potrebbe averlo letto anche Hitler che era un grandissimo lettore e aveva stanze piene di libri.....non fa pensare?
Ma la mia non è polemica, assolutamente, è soltanto un far capire che spesso si parla, ci si rammarica, ci dispiace, ci addolora un determinato modo operandi di vita verso chi soffre e chi è “diverso”, ma oltre la compassione e spesso l'indifferenza, non sappiamo fare altro.
E non solo per colpa nostra, assolutamente, ma per colpa di un sistema che come una biscia si è infiltrato nel nostro agire e pensare che non ci da sorta di ribellarsi.
Un libro intenso, vero e determinante, da leggere assolutamente e da riflettere sempre.
Un monito a cercare, anche poco, anche una briciola, di cambiare, di dire oggi voglio fare qualche cosa di “diverso” che diventi invece “uguale” e “normale” per tutti. Basta anche un sorriso in più!
Roberto Busembai (errebi)
Immagine web la copertina del libro

C'E' SOLTANTO LA LUNA

C'è soltanto la luna
a darti un colore
nella notte che nera
ti appare
se le stelle
non sai più guardare.
C'è soltanto la luna
che sorride nel sogno
e ti rende il calore
che ogni tanto ti
viene a mancare.
C'è soltanto la luna
la notte
a tenerti per mano.

Roberto Busembai (errebi)
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OLTRE LA FINESTRA APERTA

Oltre la finestra aperta,
c'è il mondo che mi aspetta,
o soltanto un insieme di cose
che si agitano al primo vento
che le sorpassa.
Allora sono sicuro
che oltre ci sei anche tu
che lieta mi aspetti
e non ti turbi di un mio ritardo
o soltanto non dubiti per niente.
Oltre la finestra aperta
c'è sicuramente sempre
il sole o la pioggia
o soltanto un misto
da far cangiare il tempo
in ogni suo piacere.
Allora sono sicuro
che oltre ci sei anche tu
che determinata come sempre
pensi al tuo amore
che lo è eternamente
o soltanto
non dubiti diversamente.
Roberto Busembai (errebi)
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martedì 26 marzo 2019

UN LUNGO VIAGGIO


Ho lasciato dietro
solo un mero ricordo
di un'infanzia fatta di sole,
ho lasciato sulle strade
solo l'orma del mio passo,
ho lasciato nel silenzio
il rumore del mio respirare,
e ho portato con me soltanto
il coraggio di viaggiare,
di conoscere e sperare,
perchè questa è la vita
che sui binari scorre
e se si ferma
non è solo a una stazione.
Roberto Busembai (errebi)
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lunedì 25 marzo 2019

DONATO DE' BARDI - CRISTO IN CROCE TRA LE MARIE E S.GIOVANNI

Eppure fino a poco tempo or sono di questo magnifico artista si sapeva ben poco o niente, unica sua opera era questa che oggi vi presento, a rappresentarlo era la firma che debitamente aveva posto in basso, ma di lui altro era rimasto e altro era stato trovato. Si chiamava Donato De' Bardi e era incerta anche la sua provenienza.
Cristo in Croce tra le Marie e S.Giovanni, è un'opera maestosa su tela, opera che risale al tardo quattrocento e già questo ha dato adito a molte discussioni, in quell'epoca difficilmente si pitturava su ampi spazi di tele, era un modo di fare che fu attuato ben più tardi quando la pressione fiamminga invase l'Europa. Ma colui che si firmava era Genovese o almeno pareva che in Genova avesse lavorato, come era poi arrivato a Savona?,l'opera è ora presente nella Pinacoteca Civica di Savona.
Nelle sue vaste proporzioni (238x165cm) si può annoverare come la più antica tela dipinta ad olio esistente in Italia e la particolarità è che al tempo, si presume in un arco tra il 1426 e il 1450, si dipingeva su tela soltanto per stendardi o gonfaloni.
Ma anche la tecnica stessa è molto dubitativa, la composizione è raccolta in una illusionistica cornice dipinta, un insieme di lettere d'oro su fondo scuro che ricordano la Madonna in trono di Van Eyck e lo avvalora anche il fatto che fu dipinta nel 1437 per la famiglia Giustiniani di Genova.
Dal Cristo in Croce si deduce poi che questo Maestro abbia conoscenze varie di tecniche e scuole artistiche della pittura lombarda, delle miniature fiamminghe e della scultura tardo-gotica dell'Europa centrale perchè lo spettacolo delle forme e dei soggetti va al di la del periodo pittorico italiano.
Il Cristo in croce domina con il cereo colore delle sue carni sui personaggi piangenti e commossi
sovrapposto su un fondo di monti rocciosi e innevati. Sottolineati da un fascio di luce i personaggi e il panorama stesso sono descritti in ogni particolare, meticolosamente resi e evidenziati, e pure i colori hanno la loro impronta decisa, l'azzurro delle vesti che è dato dai costosi lapislazzuli , le aureole con iscrizioni dorate, gli angeli in cielo e tutto quanto in un crescendo di musica pittorica.
E' chiaro che questo artista ha viaggiato e viaggiato molto per avere sulle mani queste doti e per dare simili rappresentazioni che vanno oltre i paesaggi e le figure che poteva vedere tra la “sua”Liguria.
Il cartiglio in basso con il “ Donatus Comes Bardus Papiensis pinxit hoc opus” pone deciso il latore di questo stupendo lavoro, quasi a monito di dire ….Questa meraviglia mi appartiene!.
Negli anni settanta il grande Federico Zeri attribuì a questo grande artista altri dipinti sparsi per il mondo e piano piano la figura del De' Bardi cominciò ad avere una chiara visione.
Si scoprì un documento che accertava la sua morte avvenuta nel 1450, che era nativo Lombardo ma per motivi di politica era dovuto fuggire dalla sua città natale ed era arrivato in Liguria, aveva perciò visto i pittori stranieri che quivi lavoravano, (Jan van Eyck, Roger van del Weyden) scegliendone alcune caratteristiche e portando così alla costruzione di questa magnifica opera.
Roberto Busembai (errebi)

CHIAMALO COME VUOI

Chiamalo come vuoi
quell'improvviso colpo
dentro il petto,
quel luccicare gli occhi
pure fosse notte,
quel brivido che assale
in un tramonto d'agosto,
quell'attimo scomposto
che ti prende male,
chiamalo come vuoi
quel battito irregolare,
quel fremito della mano
e del pensiero vago,
quel docile momento
di lasciarsi andare,
quel menefreghismo
di tutto quello che vale,
chiamalo come vuoi
quell'annaspare invano
sorreggersi da un frastuono
e ritrovarsi come un niente
sperso completamente
tra la gente.
Chiamalo come vuoi,
io lo chiamo amore.
Roberto Busembai (errebi)
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MA QUANTO E' BELLO IL MARE

Ma quanto è bello il mare
che bagna ora il mio sopore
di lento pensare,
ma quanto è grande questo immenso
che sulla spiaggia cede rumorosamente
trascinato,
ma quanta vita appare
oltre il confine
da non poter carezzare
e fermare come le onde,
ma quanta passione sorge
oltre il limite del cuore
da far fiorire una rosa
su una spiaggia erosa.
Ma quanto è bello il mare
se lo sai assaggiare,
e quanto sale dovremmo
ancora bere,
se della rosa non conosciamo
che le spine.
Ma quanto è bello il mare
e niente altro lo sarà mai più
eguale.
Roberto Busembai (errebi)
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domenica 24 marzo 2019

VADO A MILANO

Oltre questo finestrino, mentre aspetto che il treno parta, vedo una miriade di persone, incerte, quasi inesperte alla ricerca di chissà cosa, forse hanno perso una coincidenza, sicuramente sono dei gitanti o quanto meno sono un gruppo di persone che viaggiano insieme, ecco ora corrono verso una determinata parte, mi incuriosisce alquanto questa agitazione, mi alzo e mi avvicino al vetro più che posso, aprirlo non è più consentito in questi treni moderni, e inseguo fin dove posso quel movimento che penso uguale a un formicaio quando attraversano insieme, allineate, un piccolo tratto di bosco o di prato.
Sono scomparsi tutti oltre la mia visuale, peccato non abbia avuto la soddisfazione di sapere dove andavano ma soprattutto cosa cercavano, delusa mi rimetto seduta nel mio preposto sedile che già il treno inizia la sua corsa.
Sarei arrivata a Milano tra circa due ore e mezza, con questi treni oggi si vola che è un piacere, ricordo quando ero ancora piccolina, per andare a Milano era un'impresa enorme e il viaggio durava non so quanto ma tale da portarsi dietro merenda, colazione o forse anche cena. Il viaggio doveva essere programmato e certo non si faceva per la sola visita del Duomo ma per una causa ben motivata. Un giorno, era d'inverno, io ero vestita a dismisura, ricordo che nonostante la neve che cadeva io avevo caldo, ma mia madre mi implorava che a Milano avrei trovato ancora più freddo...."Tesoro mio, Milano è una città del nord, e al nord non batte mai il sole, c'è sempre tanta nebbia e spesso e volentieri piove" . E' così che ancora spesso penso e provo di Milano al primo nominarla, poi certo mi ravvedo, ma l'istinto non si domina e quello che è stato maturato in età infantile è difficile toglierselo dalla mente.
Vorrei leggere qualche cosa, ma fuori vedo il sole e mi allieta sbirciare quel veloce panorama che mi attraversa gli occhi, prati verdi, pioppi in filare tutti sull'attenti come un esercito di soldati, e poi fantasticare sulle case e chi vi abita dentro, magari ci sono donne come me che ora sono intente a preparare da mangiare, o sono addette a badare a qualche nipotino, o forse a lavorare in qualche azienda o per i campi che qui dove ora ci troviamo ce ne sono a sufficienza da mantenere.
Mi guardo intorno e nei sedili prossimi al mio non c'è nessuno, qualche fila più avanti vedo dei giovani, ma sono tutti intenti con i loro cellulari, qualcuno azzarda un motivo dal telefonino, forse scaricato chissà dove, un altro giovane signore, ancora dei posti più avanti, è intento con un portatile , a digitare e fissa continuamente il display senza alzare la testa.
Mamma ho sete? era una delle tante richieste che facevo dopo un poco che ero in treno per quel lungo viaggio per Milano, e prima che mia madre potesse soddisfarmi, ricordo che c'era sempre qualcun'altro che si prodigava, chi con un bicchiere di vetro e una bottiglia, chi addirittura con un fiasco ( ma non era vino!), e poi tante tante persone che parlavano, ognuna aveva una sua opinione, ognuno diceva qualche cosa, uomini e donne insieme, a me sembrava di essermi portata dietro oltre la famiglia anche tutte le persone che spesso, d'estate, si trovava a parlare e chiacchierare sul muretto dell'aia della corte dove abitavo.
Avrei voluto anch'io chiacchierare, ma il solo che ora mi si è avvicinato, nel sedile quasi di fronte, ha le cuffie nelle orecchie collegate al cellulare e vedo dagli occhi assenti e stralunati che non è presente in quello che intorno gli accade, ovvero che io sto cadendo perchè mi ero alzata per prendere la valigia che si trovava al di sopra della mia seduta, il treno aveva fatto un brusco movimento e così pure una slogatura mi sono arrecata.
"Si sente male? Ha bisogno di qualche cosa?" così spesso accadeva se qualche anziano aveva un attimo di mancanza, un colpo di tosse, un gesto inconsueto, insomma si andava vestiti come eschimesi, si portavano cibarie come se si attraversasse tutto il mondo, ma c'era più rispetto e amore per chi avevi accanto e intorno.
Roberto Busembai (errebi)
Immagine : Edward Hopper - Comparment

HO POSATO GLI OCCHIALI

Ci sono ragioni talvolta che lasciano un segno nel cuore e difficilmente si può continuare a sperare nel meglio o forse a credere che qualche cosa possa cambiare. E' vero però che un "poeta" non dovrebbe mai cedere al tempo e farsi coinvolgere, anzi da lui si pretende che possa, anche solo sognare, ché tutto diventi diverso e possa davvero cambiare....ma anche un "poeta" è un uomo e forse perché nel suo animo è spesso più forte il senso del bene e dell'essere fragile che talvolta ha un momento di cedere in pieno, ma lui sa, dopo questo improvviso travaglio, che anche un piccolo, minutissimo spiraglio saprà donargli la forza di sempre.
Anche una piena coscienza di se talvolta può far bene.


Ho posato gli occhiali
a piangere da soli,
guardare oltre una finestra
e lasciarli pensare,
non ho più la forza
di sopportare,
di accecarmi il pensiero
per questo mondo strano,
avevo un cuore vero
contro il forte vento
ma una tempesta intera
me lo ha sottratto in pieno.
Ho posato gli occhiali
e adesso io non scrivo
tutto mi pare nebbia,
e non so se ancora spero
o meno, un alito di vento
a farla dissipare.

Roberto Busembai (errebi)

Immagine: by Galina Lukyanova. 1981-1982

sabato 23 marzo 2019

HO UN LUME

Ho un lume a farmi compagnia
in queste notti fredde,
ho una lanterna accesa
a scaldarmi il cuore,
perchè nella miriade di stelle
di certo nascosto
c'è il mio amore,
troppo lontano per poterlo
avvicinare
e per poterlo intravvedere,
ma sento che nella luce
che sovrasta al limite
del mare,
quel sole che tramonta
va a sorgere altrove
e là rinasce la speranza.
Roberto Busembai (errebi)
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SCIOLGONO

Sciolgono le incertezze
i sogni della notte
dipanano il sentimento
e volano nelle stelle
come fumo profumato
da inebriare il cielo.
Sono pulviscoli di pensieri
nati da dubitative immagini
forse da comportamenti
o sottili turbamenti,
sono riflessioni
diverse manipolazioni
del sentire dentro,
ma sciolgono il momento
quando rapiscono
nella mente
e stazionano perennemente.
E del volare provi
solo il vento
che fredda il cuore.
Roberto Busembai (errebi)
Immagine: ©Stephan Sadie

venerdì 22 marzo 2019

CUNTO DE LI CUNTI O PENTAMERONE DI BASILE

Nello storico dell'Italia non esistono vere e grandi fiabe, noi disponiamo piuttosto di favole locali, spesso basate su leggende, in ogni più piccolo paese della nostra bella Penisola si sono tramandata quelle novelle per grandi e piccini basate su fonti storiche, di cultura contadina, di avventure medievali ecc. Però abbiamo anche uno scrittore napoletano che ci ha lasciato uno dei più improtanti e antichi libri sulle favole da far invidia a tutto il mondo e da cui tutto il mondo ha attinto spesso e volentieri.Il Cunto de li Cunti o Pentameronedi Basile. Una vera miniera di fiabe scritte in dialetto napoletano ma come lo definì Benedetto Croce, un vero Boccaccio Napoletano. La sua opera è davvero una delle più antiche e importanti del nostro patrimonio e da lui effettivamene hanno attinto e trovato spunto i più grandi scrittori in materia compresi i fratelli Grimm.
Basile era un cortigiano napoletano e curava come amministratore vaste proprietà e terre feudali, e ebbe a pensare essendo abile nella scrittura come anche comunque nella spada, che se avesse scritto storie divertenti i giovani avrebbe appreso meglio il sapore della vita che invece dei soliti seri e noiosi consigli, ed ecco come nacquero le oltre cinquanta fiabe con un sicuro ingrediente basato sull'umorismo.
Come icona di tutte le sue opere, prendo in esame Semplicino, una tipica fiaba di carattere puramente napoletano.
Semplicino è un ragazzo, un puro “guaglione” che è abituato a cavarsela da solo, a fare le cose da se, un ragazzo che pare un buono a nulla, sfaticato ma che risolverà il problema economico di tutta la famiglia incontrando un Orco dal quale riuscirà a cavarne immensi e ricchi doni.
Ho postato questa immagine da un libro di antica data, uno di quei libri di fiabe che insieme al racconto si apponevano delle vere e proprie tavole disegnate e colorate con la descrizione di alcuni momenti importani dello scritto stesso. E' un vecchio libro che ho ritrovato dedito interamente alle fiabe di Basile. Ve ne ho voluto condividere il fascino, perchè tale mi ha procurato al di la del valore affettivo personale. L'immagine è proprio tratta dalla fiaba “Semplicino” di quando incontra l'Orco.
Roberto Busembai (errebi)
Immagine di Gigliola Nidasio da "Fiabe italiane di Basile"

giovedì 21 marzo 2019

CHE FINE HA FATTO BABY JANE?

Dalla pagina CIAK SI GIRA...
Non sono un esperto di cinematografia, non sono un critico patentato, sono soltanto un cinefilo appassionato, uno spettatore come tanti che ha i suoi favoritismi dettati a volte dalle simpatie di attori o attrici, ma spesso attratto dal vero recitare, dalla potente maestria di sapersi calare nei personaggi e di spargere la sua superiore bravura su tutta la pellicola che mai si ferma che fino al finale. Perchè questa premessa? Perchè il film che oggi vengo a nominare è indubbiamente incentrato sulla goliardica e irraggiungibile interpretazione di due attrici che hanno lasciato un segno indelebile sul cinema di sempre. La genialità del regista Robert Aldrich su la scia di un famoso libro di Henry Farrell firma una delle opere più riuscite e l'idea fulcro è proprio nel mettere insieme due dive ormai sul tramonto degli allori, ma due colonne della cinematografia, Bette Davis e Joan Crawford.
Il film tratta di queste due sorelle, che la loro infanzia ha deteriorato la loro esistenza, Baby Jane (la sorprendente, straordinariamente orribile e volutamente odiosa, grandiosa Bette Davis) era la pupilla del padre, troppo pupilla tanto che organizza un menage di fronte alla sorella Blanche ( l'altra magistrale interpretazione di Joan Crawford) che gelosa guarda invidiosa e alla passiva madre che non fa niente per far cessare questa violenza.
Nel film si rappresenta il finire appunto di una vita tra queste due sorelle,che convivono insieme in un appartamento dove la prima, Jane, sadica, vestita come una bambola, eccessivamente truccata da accentuare ancor di più la sua malvagità, al piano terra, mentre l'altra Blanche, costretta su una carrozzina per una paralisi fisica, masochista, umiliata sempre alla ricerca di un telefono, un bigliettino di carta, un qualcuno per comunicare con l'esterno, al piano superiore.
E saranno poi il susseguirsi degli eventi che incentreranno la pellicola di un morbo del quale non si riesce più a staccarsi, un crescendo di malvagità, invidia, disprezzo, pura e vera pazzia tra queste due donne, un morbo che entrerà senza bussare nelle loro teste trasformandole in un gioco psicologico che tiene lo spettatore in una tensione tale da non potersene liberare.
Per dare ancora più credibilità e suspence, prima dell'uscita del film, fu imbastita una falsa diceria in cui si diceva che tra le due attrici c'era veramente un odio sfegatato a tal punto che nella realtà si facessero scherzi talvolta piuttosto pesanti e che per girare le scene si fossero basati su sovrapposizioni di registrazioni. Tutto poi risultato falso, ma al tempo questa nera pubblicità rese ancora più interessante il film.
Una piccola nota, penso che al tempo sia cresciuta quella nera credenza e paura delle bambole, in questa casa ce ne sono di tutte le fattezze e di tutte le specie, sparse in ogni dove, e la più grande è proprio lei Baby Jane.
Un film nominato all'Oscar e che a mio parere è un Oscar che è stato perso davvero perchè il film è perfetto in tutto, musiche, costumi (qui vince comunque l'Oscar) e persino i titoli di coda devono il loro dovuto fascino, nomi e titoli che escono dalla testa di una bambola.

Roberto Busembai (errebi)


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UN LIBRO DI POESIA (Giornata mondiale della poesia)

Ho letto su un libro grande,
scritto con la semplicità
di un bambino,
ho letto una poesia
che parlava al mondo,
descriveva il suo mare trasparente
il cielo con i suoi cambiamenti,
parlava poi del vento
e dei temporali,
il sole lo nominava sopra i prati
e con i fiori contornava il silenzio.
L'ho letto che ero ancora bambino
quel libro di poesia sul mio destino.
Roberto Busembai (errebi)
Immagine: First Reader (1891). John George Brown (American, 1831-1913)

mercoledì 20 marzo 2019

VITA DI NAPOLEONE BONAPARTE ( 1 parte)

Con questo post inizio la lunga storia della vita di Napoleone Bonaparte, una storia che si dipanerà in tantissime parti e che spero vi siano di gradimento.
ORIGINI E INFANZIA
Le origini di Napoleone sono sempre state adite a dubbi e incertezze, c'è chi asserisce documentatamente che sia assolutamente Francese in quanto la sua data di nascita 15 agosto 1769 sarebbe risalente a tre mesi dopo l'occupazione definitiva dell'isola da parte appunto dei Francesi, ma ci sono altrettante ragioni plausibili a far pensare diversamente.
Intanto sappiamo che le origini dei genitori sono esclusivamente italiane, addirittura Toscane, infatti già nel XI un Bonaparte pare si sia fatto onore nella Prima Crociata, addirittura nel XIII secolo un certo Guglielmo Bonaparte, di fede ghibellina, fu cacciato e esiliato per sempre da Firenze, dai vincitori Guelfi. Trasferitosi allora verso Sarzana, al tempo sotto la Repubblica di Genova, i suoi discendenti ebbero qui varie cariche importanti come sindaci, notai e addirittura consiglieri amministrativi. In ultimo, verso la metà del '500, Francesco Bonaparte emigrò in Corsica, precisamente ad Ajaccio e un suo discendente Carlo, che avendo perseguito una laurea in giurisprudenza a Pisa , ottenne un posto di assessore al Tribunale di Ajaccio e qui divenne padre per la seconda volta, di Napoleone.
Pure la madre, Maria Letizia Ramolino pare sia di origini assolutamente italiane in quanto discendente da un'antica e nobile famiglia che pare, prima del '300, abbia avuto poteri sovrani nei territori Lombardi.
Ma a destare ancor più perplessità sono proprio alcuni documenti che indicano che il secondogenito di Carlo Bonaparte sia nato il 5 febbraio 1768 ( un anno addirittura prima), quando la Corsica non era ancora incorporata con la Francia e questo dato appare anche nella documentazione che viene presentata all'atto di matrimonio di Napoleone con Giuseppina Tascher de la Pagerie nel marzo del 1796 , nel quale si afferma oltretutto l'effettiva età dello sposo, 28 anni.
Comunque siano queste origini, Napoleone ebbe un'educazione infantile per niente francese, parlava a malapena l'Italiano, il Francese lo imparerà poi in una scuola di Francia, lui parla assolutamente il còrso e per lui non esisterà che la Corsica. Infatti l'Italia è considerata Genova, la loro più grande nemica, e il suo idolo sarà il generale Pasquale Paoli le cui gesta saranno apprese dal piccolo Napoleone sui libri e dai racconti degli isolani, sono gesta che parlano dell'unico e grande eroe isolano che a capo di un gruppo di ribelli costrinse i genovesi a rinunciare all'isola ma la cedettero ai Francesi, e proprio contro questi nuovi invasori che Paoli ebbe i primi successi sul campo. Da notare che il padre Carlo aveva avuto una stretta collaborazione con questo Paoli, in quanto aiutante in campo. Ma la forza militare dei Francesi era molto più grande di quella dei ribelli e Paoli dovette cedere e affrontare purtroppo un forzato esilio.
Ed è da queste gesta che si è impresso nell'animo del piccolo Napoleone, un astio verso questi popoli invasori, per l'Italia ha soltanto indifferenza, per Genova un certo risentimento ma per la Francia possiede un vero e proprio odio che si protrarrà fino dopo la Rivoluzione Francese. Un odio che spesso apparirà nei suoi scritti e nelle sue lettere.
Il padre si rassegnerà al dominio e ne trarrà pure vantaggi in quanto grazie al governatore dell'isola, il conte Marbeuf, verrà eletto deputato della nobiltà còrsa agli Stati Generali di Francia e otterrà anche una borsa di studio reale per il piccolo Napoleone.
Napoleone studierà allora in Francia, prima in un collegio ecclesiastico presso Autun e poi alla scuola militare di Brienne
Roberto Busembai (errebi)
Immagine: Henri Félix Emmanuel Philippoteaux - Napoleone Bonaparte nel 1792

UN FIORE TRA I CAPELLI

L'estate è sempre stata birichina, e con gli amori ha sempre ingannato tanti cuori e tante storie aperte sulla riva del mare si sono poi frantumate come onde sugli scogli, tante avventure nate tra i fienili o campi di girasole sono finite come erbe secche che bruciano in un attimo sotto il cocente sole, ma quella che vi sto per raccontare è una come tante ma con un sapore dolce, un sapore che spesso rimane e non ti lascia più.
Era d'agosto per il caldo che faceva, era d'agosto perchè del fieno si raccoglievano in covoni, le messi sopra i campi erano i tempi migliori per fare incetta, erano momenti in cui la gente povera, i contadini si ritrovavano come in una festa a lavorare senza tregua ma con la felicità nel cuore di essere all'aperto e godere delle giornate nuove.
Lei era bella, forse più del sole e delle stelle, era una contadinella nata tra viole e gruppi di galline, aie roventi ad aspettare i semi a seccare, lei era quello che non si può nemmeno immaginare. Aveva la passione della gioventù nel cuore e nelle fattezze, era bruna di capelli e molto timorosa, cordiale al momento giusto e sempre pronta per una qualsiasi cosa, aveva nella testa il sogno di un cavaliere, forse ricco e bello, uno di quelli che si spera di trovare perchè ti portino lontano da una vita che piuttosto è grama e non rende il meglio.
Lui un forte contadino, giovane possente, ardito e volenteroso, sempre pronto alle cure delle bestie e al riporre in tempo ogni attrezzo o coltura, era l'appoggio e la salvezza dei genitori e del vicinato ormai anziani e sofferente, insomma era lui che comandava senza tante pretenzioni, lavorare era un dovere e una situazione. Eppure anche lui nel suo silenzio d'uomo sognava un amore pieno, una persona che lo avesse appoggiato, che nei momenti di solitudine lo avesse confortato, e un'idea in testa già ce l'aveva ma non si era mai fatto avanti, non per timidezza o paura, ma solo perchè non voleva sciupare quel fiore che ogni giorno coltivava con la mente e guardava.
Il calesse era ormai colmo, bisognava depositare il fieno nella stalla, ma c'era un bisogno da sedare, la sete, quella che ti viene a lavorare sotto il cocente sole, ma forse anche un altro desiderio doveva essere soddisfato che solo con il primo c'erano possibilità che si avverasse.
“Ho sete” disse a una comare che raccoglieva le ultime fila di fieno, e questa subito ebbe la chiama ala ragazza che lontano udì e rimpì subito la caraffa e corse al cospetto di colui che la invocava.
Arrivò rossa nelle gote un poco per la sudata che aveva fatto e un poco e soprattutto per trovarsi di fronte a un uomo, e poi quell'uomo che anche se lui non glielo aveva mai detto, certo lei non era sciocca da non averlo capito, che lui tentava di parlarle e spesso la guardava.
Grazie , le disse e poi appoggiandosi alla ruota alta del carretto, mentre si portava il mestolo pieno d'acqua alla bocca: “ Come sei carina oggi,pure un fiore rosso tra i capelli ti sei messa”.
Lei lo guardò quasi pugnalandolo con lo sguardo, in cuor suo forse avrebbe invece voluto abbracciarlo, ma come un girasole volse lo sguardo altrove ripensando forse al suo cavaliere.
Lui rimase a guardala puntatamente, non voleva più cedere, l'amore è quella cosa che quando ti prende non ti lascia più ragionare e te incosciente non puoi più domarlo, e così ebbe l'affronto, se così si può chiamare, di proporle di andare a fare , finito il lavoro, una passeggiata lungo il fiume.
Lei ristette, quella proposta era come se gli dicesse “ Scappa con me e saremo felici” ma cosa sarebbe mai accaduto, i pettegolezzi e le dicerie, quel primo incontro era troppo stretto e lei lo sentiva bene, ma nonostante tutto il cuore suo era ribelle, l'amore l'aveva colta in flagrante e non poteva cedergli che un istante e fu tutto in un attimo, che ripreso il mestolo mezzo pieno, versata la brocca in terra, rossa nel viso ma con un sorriso pieno di grazia, rispose a mezza voce, ma a lei parve che la urlasse: “ A stasera” e corse corse più che poteva alla stalla.
Lui di lavorare ora si che ne era fiero, stasera si sarebbe sentito un uomo, un uomo vero e di lei voleva che si fosse sempe sentita bene, ora non sarebbe stato più solo. 

Roberto Busembai (errebi)

Immagine:N. C. Wyeth, Untitled (Couple and Wagon), 1914

TRUMAN CAPOTE - A SANGUE FREDDO

Dalla pagina FB "Rileggendo"

Già il titolo è agghiacciante, ma non lo è di meno il contenuto di questo, a mio parere, bellissimo libro, un libro curato, sofferto, amato e donato dall'autore Truman Capote dopo peripezie e sacrifici personali.
Partendo da una storia vera di cronaca nera, che di per se soltanto a nominarla ha del terrificante, un'intera famiglia massacrata senza un apparente motivo, crudelmente e orribilmente, Truman se n'è appropriato andando personalmente sui luoghi dove erano avvenuti i fatti.
L'autore erà già noto e conosciuto, dopo il suo Colazione da Tiffany ( di cui penso quasi tutti conosceranno il famoso film), ma visto i suoi non tanto puliti modi di vita, a corto di soldi si tuffa in questa vicenda che aveva invaso i rotocalchi del tempo. Siamo nel 1959 nel Kansas e in una fattoria nelle prossimità della ferrovia che porta a Santa Fè, un'intera famiglia, padre ricco ( un lavoratore in proprio, prodigo e volenteroso), la madre fragile ma come tutte le madri molto premurosa, un figlio adolescente ma già forte e dal portamento già da uomo, una figlia sedicenne, gentile, delicata già ottima cuoca, (in Italia potremmo definirli ironicamente una famiglia “tipo” da Mulino Bianco) vengono trovati tutti quanti trucidati in un modo bestiale.
Non ci sono moventi validi per tale ferocia, non ci sono come si suol dire scheletri negli armadi in questi personaggi, insomma una famiglia comune americana che conduce una vita sociale benestante ma lavoratrice.
Truman si reca nel paese e nonostante nessuno voglia più parlare di questa vicenda, ne sono passati troppi giornalisti, televisioni e indagini di polizia, e poi il fatto che nella loro tranquilla cittadina siano accadute tal genere di cose, li ha resi ancor più schivi a parlare e avere contatti con sconosciuti. Ma Capote è testardo, tenace e piano piano con tutta la sua buona volontà e il suo sapersi quasi ben volere riesce a far parlare questa gente e avere notizie sui modus operandi di quella famiglia. Era venuto per fare gossip, ma invece piano piano sembra quasi si innamori del caso e dopo analisi accurate si scopre che il male non sta dentro la famiglia ma fuori, perchè fuori c'è un mondo diverso dalla colazione sorridente di tutte le mattine che la madre prepara, dalla perfezione dei giorni su giorni che si vive in quella casa, fuori c'è un'altra America, fatta di stenti, di brutture, di abbandoni, di miserie, di sofferenze e di invidie e i soldi sono il mero ma enorme sogno e diversamente non esiste per loro altra maniera per procurarseli che prelevarli da chi ne ha a sufficienza , e procurarseli senza ritegno e senza nessun senso di colpa. Due fratelli, Perry e Dick, sono i fautori di tale carneficina, loro non hanno remore o pentimenti, loro nella vita sono stati uccisi da sempre e che differenza fa allora uccidere per un qualcosa che loro non hanno mai avuto.
La meravigliosità di questo libro sta appunto nella trasposizione dei sentimenti e delle vite di questi due fratelli, Truman vivrà con loro nelle celle di isolamento, li analizzerà, cercherà da loro ogni sapere e ogni pensare e di tutto trascriverà a tal punto che quando arriveranno ad essere giustiziati essi stessi chiederanno a Capote di essere presente, perchè possa scrivere e rendere nota della cosa, vorranno essere famosi....e involontariamente e contrariamente a quanto si sarebbe creduto....il libro di Capote sarà un capolavoro.
Quando ho letto per la prima volta “A sangue freddo” sono rimasto affascinato, colpito, estasiato e sinceramente non mi ha turbato il fatto macabro della storia, ma mi ha turbato quanto la mente umana abbia dentro di se i più svariati motivi per dimostrare anche una pur piccola briciola di giustizia personale, di scusante alla sua anima e al suo vivere quotidiano che ritiene spesso dovuto dal destino e non certo guadagnato.
Un libro che non dovrebbe mancare tra quelli da leggere assolutamente, e un libro che se avete occhio si trova sempre su un ripiano di qualsiasi libreria, in bella vista.
Roberto Busembai (errebi)
Immagine web della copertina del libro

CINQUE MARGHERITE (21 MARZO)

Cinque margherite sono
già di fiori un bel mazzetto,
esemplari, e comuni,
ma possenti nel colore
bianchi petali innocenti
giallo interno accecante,
cinque margherite sole
primavera già ti danno
basta poco per capire
la stagione che si vive,
cinque margherite insieme
e la vita è un altro sogno,
con un poco di dolcezza
sentimento vero in cuore
cinque margherite in fiore.
Busembai Roberto (errebi)
Immagine web

martedì 19 marzo 2019

NON TI HO MAI SCRITTO NIENTE (19 Marzo)


Non ti ho mai scritto niente
da poterti meravigliare,
ma non l'ho nemmeno fatto
per dirti ti voglio bene,
perchè a un padre,
non si doveva
trasmettere il sentimento,
l'uomo era come un ghiaccio possente
sopra la fresca neve,
non si poteva offrigli spontaneamente
un bacio sulla guancia
nato da una voglia di smisurato affetto,
un padre era un albero
sopra una collina
a dominare il tutto
con ferma convinzione.
Non ti ho mai scritto niente
e non te l'ho mai detto
ma quante volte mi è mancato
un abbraccio anche solo di rispetto,
un caldo sorriso dato
solo per comprensione
o forse una carezza nel silenzio
facendo finta di dormire.
Non ti ho mai scritto niente
e ora che sei lontano
come un albero senza foglie
in un tramonto vago
il ghiaccio si è tutto sciolto
è rimasta poca neve,
ma quanta se ne scioglie
non saperti più insieme.
Roberto Busembai (errebi)
Immagine web

IL LIMITARE DEI PIOPPI

Vado camminando come un elefante poso le tracce ma infondono soltanto come un passerotto, e lascio nel cielo un alito leggero di profumo mis...