sabato 27 aprile 2019

SANTA ZITA (Patrona della città di Lucca) - 27 Aprile









Nacque a Monsagrati, un paesino vicino alla città di Lucca, nel 1218, da una famiglia di contadini e proprio per questo non ebbe mai alcuna istruzione, ma fu sempre attratta dalla religione al punto da farsene da solo una materia di condotta, dicendo a se stessa " Questa cosa non va fatta, dispiace al Signore".
Appena diciottenne entrò a servizio alla famigerata e nobile famiglia di Lucca, i Fatinelli, ma i fasti e le novità cittadine non scalfirono il suo animo, e anzi tutte le mattine con il permesso della sua padrona, si recava a messa.
La sua prerogativa fu quella di aiutare i poveri, e per loro sacrificarsi e pure nascondere le sue "malefatte" dai suoi signori padroni, ma questi ultimi cominciarono ad avere sospetti, avevano dato si disposizioni a Zita di poter dare un qualche cosa ai poveri ma al signor Fatinellii ebbe parvenza che lei abusasse in queste donazioni e anzi si liberasse anche di quello che apparteneva a lei stessa.
Un giorno incontrandola sulle scale del suo palazzo, con il grembiale racchiusa a se stessa per nascondere un qualche cosa che si intravedeva fosse dentro, le chiese : Cosa porti nel grembiale?
Lei rispose "Fiori e fronde" e aperto il grembiale caddero fiori su tutte le scale.
E così per anni e anni Zita non ebbe più problemi per aiuto ai poveri e rimase al servizio dei Fatinelli fino alla data della sua morte, a sessant'anni. Soltanto dopo la sua morte i Lucchesi fecero in modo che questa umile donna avesse tutti i tributi per essere considerata beata, e piano piano si arrivò alla sua santificazione.
Ogni anno il 27 aprile, ancora oggi la città la commemora con funzioni religiose nella basilica dove il suo corpo è tumulato, in San Frediano, e per le vie e le piazze della città ci sono fiori di ogni genere e tipo, mercatini e deposti nei punti più importanti dallo stesso Comune.
(errebi)
Immagini web e di ERREBI

TRACCE DI ME

Sfoglia tra queste pagine
troverai un mondo di parole,
saranno solo tracce
di un uomo naturale
di un'esistenza a tratti disuguale
con le stelle alle soglie,
di una finestra aperta,
le nuvole all'orizzonte
e un sole talvolta birichino,
ci troverai le carezze
che l'ali di un angelo curioso
mi ha posto un bel mattino,
ci troverai l'amore che ho donato
e quello, spesso ricevuto,
saranno profumi di rose bianche
innocenti sensazioni.
Sfoglia queste pagine
di un libro pieno di tante storie.
Roberto Busembai (errebi)
Immagine web

VITA DI NAPOLEONE BONAPARTE (3 parte) - BUONAPARTE DIVENTA BONAPARTE

Il sottotenente Buonaparte, a Valenza, lavora sedici ore al giorno per assimilare tutte le cognizioni tecniche dell'artiglieria francese, che è una delle migliori in Europa, dorme pochissimo, fa un unico pasto al giorno,non pensa nemmeno alle donne tanto da fargli dire: "L'amore è nocivo alla società e alla felicità personale degli uomini, se venisse eliminato dagli dei, sapessi che soddisfazione!"
Studia e legge tantissimo, e questo suo modo di fare lo allontana sempre di più dalla compagine francese, ancora una volta i compagni lo tengono lontano dai loro giri, dalle amicizie,e la cosa è altamente reciproca, ancora e sempre di più Napoleone odia la Francia e i francesi, l'unica persona con cui parla è suo fratello minore Luigi che ha accolto presso di se per alleviare il peso economico alla famiglia.
Il suo reggimento viene poi trasferito ad Auxonne ed è proprio in questa cittadina che apprende dei fatti della Bastiglia, la Rivoluzione Francese è iniziata, i soldati infrangono allora le regole, iniziano a ballare, cantare, si abbracciano e iniziano a bere e festeggiare, ma lui nonostante ambisca i principi egualitari dettati dalla rivoluzione, conosce bene Rosseau, al contempo ha una forte reazione per la massa, per queste dimostrazioni di popolo trascinante.
Per lui sono tutti stranieri e oppressori, ma le idee per cui combattono sono interessanti e propizie per la liberazione della sua Corsica. A Parigi si troverà testimone di un'irruzione con le forche ,picche e scuri da parte del popolo nella reggia e imporre così a Luigi XVI il berretto rosso della rivoluzione, e in questo proverà un così alto sdegno verso il re stesso da urlare in un italiano ben forbito " Che cog.....". e poi " se avessero scandagliato le forze militari contro questi sciamannati , sarebbe tutti fuggiti".
Comunque Napoleone, grazie a questi nuovi princìpi rivoluzionari di libertà, è sempre più convinto che le cose possano cambiare anche sulla sua isola, in più con il crollo del vecchio regime, Paoli può rientrare in Corsica, e così fa anche lui ritorna ad Ajaccio.
Ma i rapporti con Paoli, vanno a decadere e a infrangersi, perchè il suo idolo, nonostante la Francia lo abbia fatto rientrare, per lui essa rimane la sua più acerrima nemica e ora con questa rivoluzione teme che ancora più tirannia e soprusi, mentre Napoleone, da quando ha ricevuto un alto grado militare,ostenta proprio sulla rivoluzione.
Accade che nel 1792, nella settimana di Pasqua, ad Ajaccio, volontari della Guardia Nazionale abbiano tafferugli con alcuni cittadini che insorgono contro la costituzione civile del clero che i Parigini hanno imposto. I volontari su ordine di Napoleone rispondo con le armi e per tre giorni la città vivrà sotto il terrore, tra saccheggi,ruberie e assassinii. Il colonnello della guarnigione locale, un certo Maillard, interviene per sedare questo conflitto, ma Buonaparte non vuole cedere anzi tenta anche di appropriarsi del castello della cittadina per poter dominare la città, ma l'impresa non riesce.
Napoleone ora è odiato dai suoi isolani, e in più sente di essersi compromesso con la Francia e perciò corre a Parigi per giustificarsi. Il Ministero di Guerra ha contro di lui una denuncia che lo potrebbe portare addirittura al tribunale militare, ma Napoleone tramite deputati còrsi dell'Assemblea Legislativa, spiega di aver agito per difendere i principi rivoluzionari che erano minacciati dal popolo di Ajaccio.
La denuncia verrà archiviata e non solo ma Napoleone verrà promosso capitano senza impedirgli di conservare il grado di tenente colonnello dei volontari còrsi, in più negli atti pubblici il suo cognome subirà un cambiamento, da allora sarà Bonaparte anche per una più facile pronuncia da parte dei Francesi.
Roberto Busembai (errebi)
Immagine : Antoine Jean Gros - Napoleone Bonaparte

venerdì 26 aprile 2019

TI PORTERO'

Ti porterò nel sogno
per non dimenticarti
ti porterò nel cuore
per non farti stare male,
ti porterò anche a ballare
però sulle nuvole del tempo
e ti porterò la dove
non c'è mai tormento.
Ti porterò sulle stelle
quelle della vita
ti porterò tra i fiori
per profumarti di passioni,
ti porterò sul mare
per farti viaggiare
su una barca colorata
perchè possa sempre ritrovarti
anche su un'isola affollata.
Ti porterò con me
dovessi pure uscire da questo mondo
perchè sarai te che mi porterai
dentro nel tuo immenso,
ti porterò con me
in ogni senso.
Roberto Busembai (errebi)
Immagine web

ROMA CITTA' APERTA



In questa giornata in cui si commemora la festa del 25 Aprile giorno della liberazione, mi è sembrato giusto, parlando di cinema, ricordare un film del quale difficilmente si può dimenticare la scena madre di una donna che rincorre il suo amato preso dal nemico per essere deportato.
Infatti avrete già capito di quale film si parla, “ROMA CITTA' APERTA” di Roberto Rossellini.
La storia è svolta negli ultimi giorni della guerra, quando il nemico tedesco e i fascisti sentivano le truppe di liberazione alle calcagna, già erano sbarcati in Sicilia. Ed è proprio in questo clima di abbandono e di rinuncia che il partito e il nemico sferrano i loro più tragici episodi di sterminio, proprio per estraniare tutta la rabbia e l'odio ultimo che possano elargire. Giorgio Manfredi, un ingegnere comunista, riesce a fuggire dalle SS e trova ospitalità presso la signora Pina, una vedova che tramite il suo legame con un giovane partigiano, di cui aspetta un figlio, Francesco, è in qualche modo compromessa con la Resistenza. Manfredi deve consegnare una forte somma a un gruppo partigiano, e allora la signora Pina tramite il suo bambino Marcello, lo farà mettere in contatto con un parroco della periferia attivo anche lui nella Resistenza un certo don Pietro. Ma per fatti di sommosse vicine il quartiere della signora Pina subisce un'ampia retata da parte dei nazisti e naturalmente portano alla cattura di Manfredi e pure di Francesco. Costoro vengono forzatamente caricati su un camion sotto le urla della signora Pina, che inseguirà urlando il nome del suo amato e che per questo verrà freddata immediatamente. Riusciranno a scappare, ma saranno ritrovati e uccisi come pure il buon don Pietro subirà la fucilazione di fronte al gruppo attonitodei ragazzi di quartiere, suoi chierichetti.
Un film crudo, vero, ancora in bianco e nero, che due interpreti d'eccezione ne fanno diventare un icona del cinema italiano. La signora Pina è la magistrale Anna Magnani, che saprà donare con il suo volto e il suo corpo tutta la rabbia, il dolore, la sfrotatezza e la forza di vivere e di lottare, una Magnani al di sopra di se stessa, basti ricordare la scena dello schiaffo al tedesco, nel suo volto c'è tutto il disprezzo e la rabbia degli italiani succubi al nemico, e quell'ultimo e vano rincorrere verso il suo Francesco che viene trasportato via, urlando con tutta l'anima e con tutto l'amore possibile il suo nome fino alla morte istantanea da parte di un colpo di mitraglietta di un nazista.
L'altro interprete indimenticabile, don Pietro alias Aldo Fabrizi, un Fabrizi di una compostezza, di una serietà , di una bonaria espressione tipica di un prete di periferia, un esemplare interpretativo che lascia stupefatti, conoscendolo e sapendolo più comico e ironico che drammatico.
I due personaggi sopra citati poi in definitiva sono stati ripresi da personaggi veri, vittime della violenza nazifascista, la signora Pina si rifà a una certa Teresa Gullace, romana, madre di cinque figli e in attesa di un sesto che volendo avvicinare il marito imprigionato nella caserma di Via Giulio Cesare, mentre lui affacciato alla finestra lei tenta di avvicinarsi ma un tedesco vedendola la uccide a bruciapelo.
Don Pietro, è la trasposizione di Don Morosini ucciso dai nazisti nel 1944.
Il film fu vincitore nel 1946 del Grand Prix al festival di Cannes.
Una nota, il termine “città aperta” si avvale di un termine vagliato dalla quarta Convenzione dell'Aja del 1907, che significa città priva di obiettivi militari e di difesa dove non sono ammessi attacchi e bombardamenti, ne violenza bellica al suo interno. Naturalmente queste regole ai nazisti e ai repubblicchini di Salò non interessavano affatto!
Roberto Busembai (errebi)
Immagini web

giovedì 25 aprile 2019

PAPAVERO ROSSO (25 Aprile)

Ho dovuto lasciare
che i petali di un papavero
cadessero sfiniti
sul ciglio della strada,
ho dovuto colorare
l'erba di un colore rosso
per confondere del sangue
il suo lento percorso.
Ho dovuto lasciare
che un papavero rosso
finisse in mezzo al mare
portato dalle onde
verso la libertà del cuore
e il ricordo nella mente.
Roberto Busembai (errebi)
Immagine web

mercoledì 24 aprile 2019

GIUSEPPE FAVA - PRIMA CHE VI UCCIDANO

Ho letto davvero tanti libri, e di tanti neppure ricordo il titolo se non rivedo il volume, di alcuni ne ho ricordo talvolta legato a un determinato periodo di vita, a un evento o che altro, altri e forse sono proprio parte della mia biblioteca interiore, sono quelli che ricordo e amo al di sopra di tutti, quelli a cui ho affidato davvero le mie notti o giorni per portarli al termine, quelli che hanno avuto (e hanno ancora) il valore della storia ma anche e soprattutto di colui/ei che l'hanno scritto. Tra questi, stamani mi è scorso nella mente, un libro che nel lontano 1796, in piena fase adolescenziale, mi attirò. Erano anni di rivoluzioni, di cambiamenti sociali, di lotte tra divisioni politiche e estremismi, era trascorso un '68 studentesco, ma doveva arrivare un '77 per noi Italiani ancora più cruento, erano i momenti in cui però oltre tutto la cultura faceva da scudo, si formavano i circoli di lettura e di scambio di opinioni, si leggeva tanto e di quel tanto se ne discuteva, erano forse libri un poco impegnativi, ma si cercava anche di prenderne il giusto valore e insegnamento, e si cercava sempre (io in primis) di scoprire nuove letture e nuovi personaggi, gente che ci metteva la faccia e la pelle per combattere la libertà di parola e di pensiero, per un ordine giusto e per un vivere sano.
Ecco che vengo attirato sinceramente dalla foderina del libro, un coltello serramanico aperto, e un titolo “Prima che vi uccidano”. Non conoscevo assolutamente l'autore, siciliano, giornalista, così diceva la biografia sul retro e ancora sotto un minimo di presentazione faceva intendere che l'argomento era “mafia”.
Se ne sentiva parlare spesso della “mafia” nelle assemble studentesche, negli scioperi e nei notiziari televisivi , spesso associata a eventi delittuosi e spesso nominata nel sud del nostro Paese, ma sinceramente, da poco ventenne com'ero, ne avevo idee molto confuse, anche se la cosa mi terrorizzava e ne comprendevo l'enorme subbissione e timore.
Giuseppe Fava, in questo libro racconta la vita comune di una Sicilia comune del tempo, dove si lotta per un “normale” vivere quotidiano, tra omertà, analfabetismo, lavoro sottopagato, tra compravendite di voti e tra uno squallore materiale e morale di altissima diffusione.
Personaggi come Turi Scirpu che si prodiga per riscattare un terreno da un latifondista, per poter condurre una vita un poco più dignitosa, il figlio Alfio, di nuova generazione mentale, vuole scappare da questo mondo e tentare la fortuna in Venezuela, l'altra figlia invece, sofferente e malata, quasi la vita gli debba far scontare la “fuitella” con Michele Passanisi per amore, deve lottare contro la morte. E questo amore Michele, che preferisce al posto dei campi, una vita più facile dai guadagni d'oro, fatti con il banditismo e con le varie uccisioni.
Una storia di lotte e di coltelli, dove lo Stato non vi è rappresentato e dove la “mafia” è pure nell'aria acre della terra Storia di uomini e donne in lotta per la sopravvivenza volutamente descritta e concisa con la dura e libera lotta contro il sistema mafioso, una spaccata denuncia.
Giuseppe Fava giornalista, scrittore è stato un grande esponente di lotta contro il sistema mafioso, ha lottato con forza e coraggio esponendosi contro le cariche anche più alte dello Stato , ha guardato in faccia il clan dei Santapaola e li ha mostrati a tutti nel suo giornale “I Siciliani” con foto compromettenti a fianco di politici, imprenditori e ecc, ma di cui la polizia ne era a conoscenza ma mai le ha usate per fermare queste “combutte”. Un giornale indipendente che la “mafia” aveva tentato piùà volte di farsene proprio, ma che Fava ha sempre esplicitamente detto “NO” e non soltanto con le parole ma con i fatti. Un Fava che al pari di altri odierni scrittori, non aveva ricevuto scorte, e non viveva a New York, ma che tranquillamente se ne passeggiava per la sua amata Catania perchè lui era cosciente della sua fine ma era altresì cosciente che la sua lotta non dovesse essere rinchiusa e inascoltata.
Una mattina del gennaio 1984, Giuseppe Fava, mentre stava andando a prendere la nipote che recitava al Teatro Verga in una rappresentazione scolastica del “Pensaci, Giacomino”, mentre scendava dalla sua Renault 5 fu freddato da cinque colpi di pistola alla nuca.
Prima ancora che fosse sepolto, i giornali e la polizia siciliani etichettarono l'omicidio “delitto passionale”!
Ci vollero anni per riscattare la sua memoria.
Un libro da leggere e ancora (purtroppo) molto attuale.
Roberto Busembai (errebi)
Immagine web - copertina del libro

ASSENZA


Hai dimenticato
sul chiodo la tua giacca,
quella marrone scuro
di pesante panno,
o forse l'hai lasciata apposta
perchè ti ricordassi
ogni giorno.
Hai dimenticato persino
di salutare,
forse era troppa la fretta
di partire,
o sicuramente è stata
la sorpresa inaspettata
che ti ha portato via
non volendo.
Hai dimenticato pure
di mangiare,
la mela sul davanzale
è diventata marcia,
invasa da formiche
e da insetti vari,
forse ora la prenderesti
per mangiare
quanto io vorrei adesso
dartela per sbucciare.
Hai dimenticato
la giacca appesa al chiodo
e non puoi immaginare
quanto il vederla
mi faccia stare male.
Roberto Busembai (errebi)
Immagine:Andrew Wyeth - Williard's coat

venerdì 19 aprile 2019

CRISTO ALLA COLONNA

Quanto è profondo
lo sguardo di un innocente,
valso a lottare
e morire per altri
di cui non conosce il nome
e neppure il peccato
da lenire.
Quanto è profondo,
forse non poi tanto
perchè nessuno
ha fatto intimorire
e sempre lo hanno rigettato
con i modi e col pensare,
col gesto e con il cuore,
su quella croce
a morire,
sperando sempre
non potesse mai più ritornare.
Roberto Busembai (errebi)
Immagine: ANTONELLO DA MESSINA - CRISTO ALLA COLONNA

LA PASSIONE DI CRISTO - IL BACIO DI GIUDA E LA CATTURA

Il Grande Sinedrio, il consiglio degli anziani, è quello che governa la Giudea, si annovera di circa una settantina di membri suddivisi tra “anziani, i più ricchi ma noti per la loro saggezza e gli “scribi” i dottori della legge che insieme formano i “sadducci” coloro che sono ligi alle leggi orali e dediti a le leggi scritte. Poi ci sono il “farisei” che sono il gruppo maggiore.Da questo “Tribunale” dipendono tutti i sacerdoti e le guardie del tempio e il massimo capo è Caifa aiutato dal suocero Hanna.
Il caso di Gesù è sul tavolo dove viene esaminato, solitamente i predicatori , che da tempo ce ne sono sovente, vengono lasciati fare in quanto poi si esauriscono da soli quando vengono a mancare delle promesse elargite e cadono nel ridicolo perdendo la dovuta credibilità, ma il caso del Nazareno è diverso,costui sa trascinare un vasto cumulo di persone, ha un carisma simile a Mosè o Isaia, quando parla sa provocare brividi e perciò è da ritenere pericoloso e potrebbe far crollare il prestigio dei sadducei, ma per fortuna uno dei seguaci, Giuda, si è fatto avanti da solo e ha garantito su pagamento che denuncerà Ges, quale miglior occasione per processarlo e condannarlo come bestemmiatore.
Giuda aspetta fuori, Caifa tituba ancora ma poi si decide ( qual'è la paura maggiore che lo attanaglia, la quasi certezza che Gesù sia davvero il Messia che egli dice di essere, e se così fosse addio al suo potere e ai suoi fasti) chiama le guardie del Tempio e un manipolo di legionari romani per andare con l'apostolo a prelevare il Nazareno, e bisogna fare in fretta, la notte è amica, in quanto per superstizione si creda che abbia mano forte il diavolo, diversamente dal giorno in cui è l'angelo il padrone.
Intanto la cena andava avanti, il Maestro ogni tanto aveva quei suoi soliti discorsi sulla sua prossima dipartita, ma ormai i discepoli non ci facevano nemmeno più caso, anzi era giunto il momento di cantare l'alleluia e lasciare il desco, la notte era profonda, Gerusalemme tutta stava già dormendo.
Si alzarono e uscirono tutti insieme, Gesù avanti a tutti seguito dai suoi discepoli, rasentano le mura della città e giungono a salire su un colle, il Monte degli Ulivi, arrivano in un piccolo spiazo dov'è un frantoio d'olive chiamato Getsemani, allora il Maestro impone a Pietro, Giovanni e Giacomo di seguirlo mentre gli altri li fa accomodare al bordo del campo ad aspettarli.
E' una notte di luna piena, e si cammina benissimo tra i campi e le valli, Gesù arrivato a un certo punto del giardino, dice ai suoi accompagnatori di sedersi e di aspettarlo perchè lui si allontana: “L'anima mia è triste fino alla morte”.
Poi una volta inoltrato tra gli ulivi, si inginocchia e comincia a pregare, ora inizia il vero momento del dolore, quel dolore esclusivamente umano che Lui deve provare senza remore, senza nessuna certezza di resurrezione, ora anche Lui avrà paura della morte come ogni uomo, deve soffrire senza attenuanti e supplica allora il padre suo :” Padre mio, se è possibile allontana da me questo calice! Tuttavia non come voglio io, ma come vuoi tu.”
Da lontano i tre non possono che meravigliarsi di vedere e sentire il loro Maestro piangere e singhiozzare, lo aveva predetto questo “scandalo” , l'allontanamento nel loro cuore della supposta divinità e vederlo invece sempre più umano da restarne,nonostrante lo amino profondamente, scettici, e in questi pensieri si addormentano. Gesù viene presso di loro a svegliarli “Così non avete saputo vegliare un'ora sola?” e ritorna a pregare, ma dopo poco rieccolo a scoprire i tre che dormono ancora e li ammonisce di nuovo e di nuovo li abbandona. Alla terza volta ritrovandoli di nuovo dormienti gli mormora con tutta la tristezza possibile “ Dormite pure e riposatevi: ecco, è vicina l'ora, il Figlio dell'Uomo sarà dato nelle mani dei peccatori”.
Ed ecco un brusio di persone e un rumore di innumerevoli passi farsi sempre più fragoroso, Gesù con i tre si è avvicinato a gli altri e così gli dice:” Alzatevi e andiamo, chi mi tradisce è vicino.”
I legionari e i sadducei sono davanti a loro, allora Giuda si stacca dal gruppo e si avvicina a Gesù baciandolo. Ecco quello è il gesto che adduce a gli altri, che non conoscono di fatto il Messia che non per sentito nominare, la certezza.
Gesù si rivolge alla folla : “ Chi cercate?”
“ Gesù di Nazaret”
“ Sono io”.
Pietro sguainerà una spada e mozzerà un orecchio a un centurione, ma Gesù toccherà all'istante la ferita che si rimarginerà e lo rimprovererà. “ Pietro, vuoi che non beva il calice che il Padre mi ha dato?” Un altro soldato romano afferra allora il Messia e gli lega le mani trascinandolo presso gli altri per portarlo via.
Il prigioniero alle tre della notte viene portato di fronte a Hanna e poi a Caifa che nonostante la notte in bianco è di una contetezza sublime, stavolta Pilato non potrà che fare ciò che il Sinedrio decide, una condanna a morte per una problematica religiosa non rientrano nelle aspettative di un governatore pagano romano, ma stavolta assecondando Caifa mandandogli i soldati si è compromesso e non può più tirarsi indietro, altrimenti la cosa la verrebbe a sapere Tiberio, l'imperatore e per lui sarebbe un grossissimo rischio.
Hanna rivolge poche parole al prigioniero e lo rimanda a Caifa. Questi inizia a interrogare il Maestro, che è già provato dalla sofferenza della prigionia, i suoi polsi e caviglie sono ora legati, il viso è tumefatto e le vesti sdrucite e infangate, ma l'espressione è lucida e trasparente, Caifa vuole conoscere la sua dottrina e sapere il numero dei seguaci tanto per capire se è già un realizzatore di una qualsiasi setta, ma Gesù risponde sfrontato che la sua dottrina è nota a tutti e basterebbe chiedere ai tantissimi che lo hanno ascoltato. Una guardia allora lo schiaffeggia, poi arrivano i falsi testimoni:
“ Ha detto che avrebbe distrutto il Tempio e che ne avrebbe edificato un altro”
Le parole di Gesù erano state diverse “ Distruggete questo tempio e io lo riedificherò in tre giorni....ossia uccidetemi pure ma io risorgerò.”
Caifa va diretto:
“Sei tu il figlio di Dio?”
“ Lo sono e d'ora innanzi vedrete il Figlio dell'Uomo seduto al fianco dell'Onnipotente!”
“ Ha bestemmiato!” grida ora Caifa “ Ha bestemmiato!”
Il Sinedrio intero si trasferisce al Tempio, costui deve essere condannato e mentre si verifica questo spostamento il prigioniero viene lasciato nel cortile dove le guardie cominceranno a beffeggiarsi di lui, sputandogli in faccia e arrecandogli calci e pugni, solo per il divertimento di farlo.
Nel momento che Gesù era di fronte a Caifa, Pietro era riuscito a entrare nel cortile della casa, facendosi spazio tra le genti e le guardie, ma una ragazza quasi lo riconosce e gli domanda se lui è un seguace di quel Gesù, lui risponde di no. Una guardia però è quasi certa e gli ripete la domanda, ma Pietro quasi urlando. “Io no!” ma ancora un servo lo indica deciso : “ Era con Lui!”
“Io? Nemmeno per sogno” e spaventato fugge via, ma nel fuggire ode un gallo cantare e inorridisce al pensiero delle parole del Maestro che lo avevano presagito.
Il Tribunale ha deciso, Gesù deve essere giustiziato, che sia portato al cospetto del governatore Ponzio Pilato.
Intanto Giuda è riuscito anche lui ad arrivare al Tempio, vuole redimersi dal tradimento e cerca di far intendere che Gesù è innocente, che non era vero, ma nessuno ormai da retta a questo ciarlatano, allora stremato dalla rabbia e dal rancore verso se stesso, prende la sacca con i trenta denari, li getta dicendo : “ Se il venditore non ha in tasca il ricavato della vendita, è come se la vendita stessa non fosse avvenuta.”.
Poi sempre più preso dalla follia e da un forte rimorso interiore, fugge fino ad arrivare ad una collina sotto un albero di fico e con la cinghia della borsa all'estremità di un ramo e l'altra al suo collo si impicca.
(errebi)
Immagine: Caravaggio - Il bacio di Giuda

mercoledì 17 aprile 2019

GIOVANNI BOCCACCIO - DECAMERONE

Io adoro il classico, perchè è con questo che riprendo le mie mancanze dialettali, riprendo la voglia di una buona e gradita lettura, un delicato abbandono fatto semplicemente per il diletto di farlo, sapendo che quello che leggo già ne conosco il contenuto, ma la calma e la tranquillità mi faranno sicuramente apprezzare e notare cose che sicuramente nella veloce e talvolta obbligata lettura (vedi testi dati in periodo scolastico) mi ero perso.
IL DECAMERONE di Giovanni Boccaccio, rientra apposito in quei testi scolastici che ti presentano come una valida lettura ma al contempo traspare quella “stupida” concezione che è un libro tendenzialmente “ e che non va dimenticato che è stato uno dei tanti ad essere inserito nell'Indice dei libri proibiti.
E tutta questa assurdità ha certamente influenzato la mia prima lettura, al punto tale che il personaggio stesso, il Boccaccio, non lo ritenevo poi quel grande scrittore di cui bisognava tenere conto, non era certo un nuovo Dante , il vate che lo aveva preceduto.
Poi si cresce, si comincia a ragionare con la propria testa e si fanno le nostre dovute scelte, anche letterarie e si rispolverano quei classici che magari abbiamo boicottato, non tanto per nostra voluta decisione, ma in quanto maggiormente influenzati, ricordo persino che il Leopardi, di cui ho una stima letteraria al di sopra di ognuno, lo ritenessimo noi scolaretti, un pessimista e un introverso bigotto e sottomesso, un topo passivo di biblioteca. E eccomi così a rileggere il Boccaccio e soprattutto questo Decamerone, la storia in novelle di una scampata epidemia di peste, che storicamente aveva devastato l'Europa nel Trecento, dove un gruppo di giovani , sette ragazze e tre ragazzi si incontrano a Firenze in Santa Maria Novella e per scampare all'insidia della feroce malattia che ha invaso ormai la città, decidono di trasferirsi in una villa di campagna e per tenere allegro il pensiero dai fatti e dagli accadimenti, decidono, a turno, di raccontarsi una novella e il tema sarà scelto dal re o regina della giornata ( infatti ogni giorno verrà eletto un giovane (arbitro) che regolerà i vari racconti).
Saranno storie di beffa, mariti beffati, ma anche donne che subiranno stessa sorte dai consorti, si parler degli amori infelici ma anche felice e tante altre tematiche, naturalmente saranno racconti dettati dai cuori di giovani e andranno anche oltre il lecito raccontabile, ma tutto con gradita e sincera malizia che non manca nell'ardore di un ragazzo o ragazza.
Non dobbiamo dimenticare che il Boccaccio è stato un grande umanista e per raggiungere tale traguardo bisognava anche conoscere bene la letteratura volgare del periodo, soprattutto quella di matrice popolare. Ecco la sua facilità nel trasformare i classici latini e greci e amalgamarli e rielaborarli in una letteratura semplice e “volgare” nel senso del comune e facile.
Nei racconti Boccaccio tende a dare grande importanza alla donna, infatti in ogni novella sarà sempre costei un principale personaggio, vuoi donne sensuali, donne che suscitano senso erotico ma 
anche donne materne, donne timide, donne fiabesche e magiche, donne riviste sotto ogni spunto di femminilità, senza comunque dimenticare il periodo in cui è stato scritto, in quanto la donna era quel personaggio delicato che sempre pensava all'amore e che non poteva distrarsi dalle pene amorose se non raccontando. E con la donna sarà certamente legato il tema dell'amore visto in ogni sua sfaccettatura e naturalmente l'avventura dove si spiegheranno i fatti di ogni racconto. Il tutto comunque centrato sul tema religioso e sul clero che sono gli elementi basilari in cui vive l'uomo medievale, ma sarà proprio in questo mondo la spettacolarità del Maestro a far si che venga anche criticato.
Una lettura giovane, brillante ma non solo, un classico da rivedere e sottolineare.
Roberto Busembai (errebi)
Immagine web

LA PASSIONE DI CRISTO - ULTIMA CENA (Seconda parte)

La cena prosegue tranquilla, fuori ancora schiamazzi della festa, è usanza venire a Gerusalemme per la Pasqua, sono tanti gli Ebrei venuti dai Paesi vicini, si chiacchiera del più e del meno, ognuno è tranquillo nel suo spirito e nell'animo, quando, come rito, arriva un giovane servo che porta una brocca e un catino ricolmi d'acqua per scicquare le mani, Gesù allora si alza , si annoda un asciugamano alla vita come fosse un grembiale, prende quella brocca e catino e si inginocchia incominciando a lavare i piedi ai discepoli. Lo stupore degli astanti è immenso, il Maestro si sta umiliando e la cosa li irrita. Pietro non desiste: “ Maestro sei tu che lavi i piedi a me?” e Gesù risponderà. “ Quello che io faccio ora non lo comprendi ma lo comprenderai. Loro comprendono soltanto che questa cosa è controsenso, ma al contempo sanno anche che spesso a loro aveva detto che “Chiunque si umilia, sarà esaltato”.
Passato lo sbigottimento si ritorna tutti a cenare tranquillamente quando ancora il Maestro, quasi parlasse a se stesso, dice con calma ma con tono facilmente udibile “ Qualcuno di voi mi tradirà”
All'unisono tutti chiederanno “chi?”, e Lui inzuppando un poco di pane “ A colui che darò questo boccone. Secondo l'usanza orientale, donare un pezzo di pane inzuppato è un gesto di amicizia per cui quando Giuda Iscariota se lo vede dare rimane interdetto. “ Sarà vero che Lui già sappia che ho promesso a Caifa di consegnarli il Messia per trenta denari?” si domanda tra se Giuda perciò domanda “ Sono io?” e il Maestro, parafrasando un si “ Tu l'hai detto!”. Poi gli sussurra piano “Quello che devi fare, fallo subito”.
Giuda sconvolto, furtivamente scivola via dal desco e se ne va, mentre gli altri pensando che Dio gli abbia dato qualche commissione non si preoccupano minimamente del suo abbandono.
La cena continua ma il Maestro non segue il rituale difatti prendendo del pane lo spezza in vari pezzi che distribuisce ai discepoli dicendo loro che quello è il suo corpo che per amor loro presto sarà così donato. Poi alzerà il calice pieno di vino e imporrà a tutti di berne un sorso asserendo che questo è il suo sangue versato per la remissione dei peccati dei molti.
E' chiaro che tra i discepoli si insinua la confusione e l'incomprensibilità, cercano di ragionare, in fondo Mosè nel vecchio Testamento, aveva ratificato il patto tra Dio e la nazione d'Israle con il sacrificio di animali, ora Gesù ratifica con il suo sangue. E' Lui stesso l'agnello!
Il Maestro di tanto in tanto accenna alla sua prossima morte, poi accennerà : “ Amatevi l'un l'altro come io vi ho amato”. Pietro non sa darsi risposte e chiede angosciato : “ Perchè quel verbo al passato? Dove vai?”
“Tu non puoi seguirmi ora , ma mi seguirai più tardi”.
Allora con impeto e slancio Pietro si alza e dice: “ Perchè non ora? Io darò la mia vita per te “
Gesù lo guarda con dolcezza, lo fa accomodare di nuovo e poi:
“Prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai per ben tre volte!”
(errebi)
Immagine web : JACOPO BASSANO - ULTIMA CENA

SAN ROBERTO DI LA CHAISE-DIEU




Nell'anno 1067, come oggi, 17 aprile cessava di vivere un grande uomo, divenuto poi Santo, Roberto di La Chaise-Dieu.
Nato per un caso fortuito nel mezzo di una foresta, la nobildonna sua madre ebbe improvvise doglie mentre si recava in visita a un castello vicino e subito si disse che il neonato fosse destinato a diventare un eremita celebre.
Già da giovanissimo fu consacrato sacerdone ed operò come canonico presso la chiesa di San Giuliano a Brioude, la sua sublime caratteristica era la sua propensione per curare e accudire gli infermi, tale da aprire un ospizio esclusivamente per loro e ai quali si dedicò con profonda devozione.
Ma lui avrebbe voluto estendere la sua vocazione sul piano monastico e allora tentò di ritirarsi all'allora famoso monastero francese di Cluny, ma gli abitanti di Brioude fecero addirittura una sommossa perchè ciò non avvenisse, Roberto era troppo amato e caro e vollero che ritornasse al suo paese.
Scosso da questo episodio si prodigò a Roma sulla tomba degli Apostoli chiedendo in preghiera di conoscere la volontà di Dio, ovvero quale era il suo destino, se vivere nel mondo oppure in un regime monacale.
Mentre ritornava incontrò un soldato penitente che gli chiese quale fosse la maniera migliore per redimere i suoi peccati, al che Roberto gli rispose “Lascia tutto e inchinati al servizio del Signore”, costui che si chiamava Stefano, rispose prontamente “ io sarei disposto a farlo solo se potessi compierlo insieme a te”.
E fu così che Roberto intese il messaggio di Dio e con Stefano e poi anche con un altro soldato, stanco delle battaglie e degli odi, Dalmazio, si stabilirino in un rudere di una vecchia chiesa e nacque così l'Abbazia della Chaise-Dieu, “Sedia di Dio” che con grandi sacrifici divenne uno dei più importanti focolai monastici della Francia al pari di Chartres e di Cluny.
(errebi)
Immagine web (Antico disegno della costruzione della prima abbazia e immagine dell'Abbazia di Chaise-Dieu)

TI FERMEREI, POTESSI

Ti fermerei tra le mani
potessi,
ti direi le cose che sento
perchè le portassi al mondo,
ti fermerei potessi
un attimo dentro.
Ti rapirei nel volo
potessi essere uccello,
migrare i dolori
sulla nuvola amica,
affondare il silenzio
dell'abbandono
nel mare agitato
per farlo scontrare
al primo scoglio di un cuore.
Ti fermerei vento
potessi prenderti tra le mani,
di te mi inonderei
del fresco e salato sapore,
brezza di mare,
pulviscolo d'onda
immenso sentimento,
potessi fermarti
mio pensiero.
Roberto Busembai (errebi)
Immagine web

martedì 16 aprile 2019

NOTRE DAME DE PARIS (15 Aprile 2019)

Non si può volare
senza un alito di vento,
con un vento contrario
con un vento che corrode,
non si può volare
senza ali al contempo
senza un nobile cuore
senza un insegnamento,
non si può volare
con le fiamme dentro
con il passato lacerato
e il futuro incenerito,
non si può volare
se umanamente colpito
depraudato, assorbito
bruciato, incenerito
disperso come cenere
ad un vento contrario
che corrode
un vento senza alito ma fuoco.
Non si potrà più volare
senza ali nel fianco.
Roberto Busembai (errebi)
La Flèche di Notre Dame de Paris , 1862 by Charles Marvillejpg

domenica 14 aprile 2019

PASSIONE DI CRISTO - ULTIMA CENA (Prima parte)

Erano da poche passate le sette di sera e quel giovedì di festa, si festeggiava la Pasqua ebraica, un gruppo di uomini era invitato a una cena che il Maestro voleva loro offrire. Erano circa dodici e a vederli parevano anche dei poveracci, le loro tuniche del colore bianco ricordavano soltanto il nome, barbe incolte e capelli mal tenuti e per lo più non avevano proprio l'espressione di persone istruite, infatti loro seguono il Maestro più per devozione che per quello che proferisce e dice, non riescono a capacitarsi di come uno che si dichiari Figlio di Dio, non richiami tutti gli angeli e tutto quello che potrebbe essere in suo potere per liberarsi da coloro che lo deridono e lo perseguitano.
Sono dodici umili persone, tanto umili che a vederli paiono ancora infantili, già si litigano per avere il posto al tavolo, il più vicino possibile al Maestro, e alla sua sinistra si è guadagnato il posto un certo Simone Pietro , un pescatore dal carattere impulsivo e incostante, un omone robusto che porta sulle spalle tutto il suo faticoso lavoro, a lui il Maestro un giorno gli ha detto che sarà l'Uomo di Pietra su cui edificherà la sua Chiesa, ma non ne ha dato peso.....dice tante cose incomprensibili questo uomo.
Alla destra siede un giovane, battagliero e sempre pronto a sfidare chi importuna il Maestro, Giovanni, forse l'unico che riesce a comprendere un poco di più la Parola “amore” che profetizza il Signore.
Alla destra di Giovanni siede ora Giuda di Cheriot, lui è il tesoriere che amministra le offerte delle persone abbienti convertite dal Maestro, è sospettato che buona parte di questi “introiti” vengano da lui usati, è l'unico che è visibilmente agitato e nervoso, e non è certo il sapersi scoperto da questa ingiuria, ma lui non capisce assolutamente questo Maestro, Giuda vive solo e esclusivamente per il denaro e ogni cosa ha questo determinato valore, “amore”, “Dio” non hanno prezzo perciò non hanno assolutamente nessun valore.
Gli altri sono Andrea, il fratello di Pietro, un tipo piuttosto taciturno che è sempre motivo di burla da parte degli altri per il suo mutismo, carattere chiuso al pari di Giacomo il fratello costui di Giovanni. C'è Filippo il bontempone e l'allegrone della “combriccola” , lui ha sempre motivo per divertire e soprassedere su tutto, è puntiglioso però nelle cose al punto che non crede se non ha prove sufficienti per farlo. L'altra faccia invece è Tommaso, pessimista e scettico, che in ogni cosa vede disgrazie a tal punto da restarne contento quando esse si verificano, un motivo per avere così ragione.
Poi c'è Matteo, che si chiamava Levi, un personaggio odiato in quanto era diventato ricco facendo il pubblicano, ovvero riscuoteva le imposte dai compatrioti giudei per conto degli invasori romani e ne intascava la percentuale. Poi aveva trovato il Maestro ed ora è povero come gli altri, ma diversamente da tutti, non ha perso l'abitudine di vestirsi computamente e di essere sempre elegante e profumato. Tra tutti è quello che ritiene, patriotticamente parlando,il Maestro “gloria d'Israele”.
Il più piccolo di statura, anche se bisogna considerare che nessuno è più alto di un metro e 65, compreso il Signore, è Giacomo il Giusto, timido, devoto nella preghiera ma incerto sulle parole del Messia, poi c'è un altro Giuda, Taddeo, un tipo molto appartato e molto per conto suo, e anche Simone Zelote, lui è stato un congiurato politico, un combattivo e rivoluzionario che avrebbe voluto scacciare l'invasore romano dalla Giudea con l'uso delle armi, e non ogni tanto ha ancora quel mordente per intraprendere la lotta.
Infine Natanaele detto Bartolomeo, bello, giovane e molto curato nel vestire e nel presentarsi alla pari di Matteo, delicato nel portamento come nel cuore, di un candore umano tale che Gesù a lui ha promesso “la visione del Cielo con gli angeli che salgono e scendono sul Figlio dell'Uomo”.
La cena è pronta in tavola, agnello cotto intero allo spiedo per simboleggiare l'unità di Israele, schiacciate di pane “azimo” non lievitato a ricordare che gli Ebrei erano fuggiti dall'Egitto in assoluta fretta da non poter aspettare il lievitare del pane, insalata di erbe amare a menzionare l'amarezza della schiavitù, una salsa di datteri, vino, fichi e cannella e un buon vino rosso.
(errebi)
Immagine: The last super - Juan de Juanes (Juan Vicente Macip)

sabato 13 aprile 2019

DOMENICA DELLE PALME

Appena vicini a Gerusalemme, Gesù comandò a due suoi apostoli di entrare in città e prendere un asino che avrebbero trovato legato, e di rispondere , qualora qualcuno si fosse risentito, che era per bisogno del Signore e che lo avrebbe comunque restituito. A cavallo di questo asino Gesù fa il suo ingresso nella città che ora lo acclama e gli stessi che a pochi giorni lo metteranno in croce, ma soprattutto saranno i bambini ad acclamarlo e a renderne grazie gridando l'Osanna e stendendo mantelli e foglie di palme davanti al suo passare.
OSANNA, OSANNA!
Non è la gloria
e nemmeno la vittoria,
non è un Re quello che si presenta
o almeno non lo è di questo Regno della terra,
non è per vanagloria
o per ottenuto successo militare,
non è per conquistare un popolo
o per comandare,
è soltanto portatore
di un umile amore,
e non verrà compreso,
accettato, amato,
ma soltanto deriso
e poi ucciso come un
nemico dello Stato.
Ma saremmo, sempre e soltanto
in grado di gridare
Osanna, osanna!
E questa infinita storia emulare.
Roberto Busembai (errebi)
Immagine : Giotto - L'ingresso a Gerusalemme - Cappella degli Scrovegni - Padova

venerdì 12 aprile 2019

NON SONO UN POETA

Non sono un poeta,
son solo un giocatore di parole,
un incantatore senza cappello
e senza guanto bianco,
ho una penna soltanto
per trasformare un pensiero,
per dire quello che sento
e giuro vi dico il vero.
Non sono un poeta
son solo un giocatore di parole,
un mago dalle facoltà più varie
che sa trasportare in un sogno
anche un mero bisogno,
un'esigenza, un dolore,
che del sentimento dell'amore
è innocente come quando si nasce,
e del sorriso ne ha piene le tasche
per elargirlo come riso
gettato alla gente.
Non sono un poeta
e non lo son mai stato per niente.
Roberto Busembai (errebi)
Immagine web

giovedì 11 aprile 2019

IL MATRIMONIO DI ROSINA

Forse voi non ve ne siete accorte
amiche mie dilette
ma questo matrimonio
mi tiene assai curiosa,
lo so che sposo l'uomo che
pare, e dico pare, abbia sempre amato,
l'ho conosciuto un giorno in
un prato...oddio che ho detto
volevo dire sul sagrato
della chiesa andando alla messa,
beh mi è piaciuto subito
poi però festa....
ma che stupidina volevo dire
era giorno di festa
e poi ci siamo soltanto
rivisti ma di sfuggita,
i suoi parenti, i miei
e tutti quanti a darci dei consigli
e noi che si assaporava
quel giorno assolato
sul verde di quel prato...
oddio, sul sagrato.
Ora come vi dicevo,
non disperate amiche
non vi lascio sole,
sarà questione di questo pomeriggio,
di questi fiori che invadono la stanza,
di questa mia speranza,
ma poi ci ritroveremo,
su avanti passatemi il vestito,
Rosina è pronta per essere sposata,
ma come sono fortunata,
l'ho conosciuto prima....
su quante storie
è stata solo una fantasia,
ora sono curiosa appunto
di seguitare la novella
e che lui mi porti via.
Roberto Busembai (errebi)
Immagine: La mattina del matrimonio -Konstantin Johann Franz Cretius (tedesco, 1814-1901)

POTREBBE MERAVIGLIARE

Potrebbe meravigliare
un tuo sorriso adesso
dopo il nostro litigare
per un niente di importante
ma tale da accendere
negli animi
un restio e inutile agire
discostandoci con la mente.
Potrebbe meravigliare
un tuo sguardo dolce
dopo il nostro accanimento
vivace scambio d'opinioni
che non hanno valso
a concludere niente.
Potrebbe meravigliare
come un fiore che nasce
sul bordo di un marciapiede
asfaltato,
quel tuo chiedere con la mano
la mia, per un semplice
e gioviale abbraccio,
potrebbe meravigliare
ma per me che ti conosco
è stupendamente naturale.
Roberto Busembai (errebi)
Immagine web

C'E'

C'è, dietro un vago sospirare,
un tenero pensiero
del passato,
fugace nel trascorrere la mente
ma grande nel desiderio
di restare,
e lascia sulla scia
un vuoto immane che ricopre
solo con la commozione entrante.
C'è, dietro un ricordo pieno,
tutto il tuo sentimento
che sul ciglio di uno strapiombo
lasci sempre a guardare.
Roberto Busembai (errebi)
Immagine web

lunedì 8 aprile 2019

SPESSO E OLTRE

Spesso e oltre
ho la tua presenza,
sul limite del viale
tra foglie amare
e sogni sparsi
come fogli persi,
appare il contorno
di un'ombra che non
ha materia,
solo essenza vera.
E dietro la finesta
aspetto invano
un mero incanto
perso
per un altro mero
suo disegno,
quello del destino
vario.
Spesso e oltre
ho la tua presenza
solitudine della mente,
che non porta
ma toglie frequentemente.
Roberto Busembai (errebi)
Immagine: Lea Seydoux

sabato 6 aprile 2019

UN BALLO INSIEME

Permetti questo ballo,
sul limite del mare,
quando il tramonto cede
il giorno
e noi si sta a emulare.
Permetti un nuovo giro
di valzer o un dolce lento
fermiamolo così
il nostro momento.
Voglio sentirti ancora
dirmi che ti basta
che non ce la fai più
e ti gira la testa,
voglio vederti ancora
con il sorriso pieno
su quelle dolci labbra
e se non lo sappiamo
ma almeno fammi sperare
di rimanere sempre
su questa spiaggia.
Roberto Busembai (errebi)
Immagine web

mercoledì 3 aprile 2019

VITA DI NAPOLEONE BONAPARTE - ( 2 parte)

Dalla pagina FB "Storie di Historia"
LA SCUOLA MILITARE
L'impatto con i giovani francesi, sia presso la scuola di Autun e sia in quella militare di Brienne non è dei più eclatanti. Napoleone non ci si trova con questi "stranieri" e da parte loro non sopportano questo "isolano" per lo più borioso e sulle sue, già dal nome che porta Buonaparte, un cognome sconosciuto in Francia e per questo senza storia e senza importanza.
In più gli faranno sempre menzione che i Francesi hanno vinto e conquistato i Còrsi come lui tale da farlo ancora di più innervosire al punto che un giorno dirà al suo unico confidente e amico,Bourrienne ( che poi diverrà, in futuro, il suo segretario particolare): " Ai tuoi francesi farò tutto il male che posso".
L'odio antifrancese comunque porta il giovane Napoleone a studiare assiduamente e proficuamente, è fortissimo nelle materie di storia e matematica e soffre un poco nel latino, ovviamente scadente nello scrivere in francese, ma sa risolvere problemi anche difficili con molta facilità. E' anche un assiduo lettore, soprattutto libri di storia e filosofia politica e sociale, adora Rousseau al punto da farne suo vangelo il "Contratto sociale". Napoleone trascorre questi anni in disparte, con i suoi libri e i suoi studi, si è costruito un angolo, un'isola tutta per se nel cortile, dove lui legge senza interferire con nessuno e se qualcuno tenta di disturbarlo lui reagisce in malo modo e pronto anche a scazzottare.
Uscirà dal corso di Brienne molto qualificato, al punto che un professore dirà di lui: " E' un còrso di nazionalità e di carattere, e se le circostanze gli saranno favorevoli, andrà molto lontano!"
Napoleone è maturo per intraprendere la Scuola Militare di Parigi, (nel 1784) una scuola dove si formano i cadetti gentiluomini del re, ma è ancor di più amareggiato per la sua Patria, odioso sempre di più per quella impostagli ma un carattere caparbio pieno di volontà di sapere e di essere un qualcuno nel mondo. La scuola militare è frequentata da giovani aristocratici, i classici figli di, e Napoleone certo non è ben visto " ...quel "nobiluccio" Còrso!" si sente spesso sospirare dietro, tanto da accrescere ancora di più il suo profondo odio e a farlo arrabbiare al punto da menar pugni spesso e volentieri.
Nel 1785 gli arriva notizia della morte del padre, un padre del quale lui non è per niente affezionato , anzi lo definisce pure un traditore dopo che ha ceduto agli invasori il suo servigio, ma la sua morte porta miseria nella famiglia e lui si sente in dovere di aiutarla ma non sa ancora bene come.
Conquisterà il brevetto di sottotenente d'artiglieria e il 28 ottobre del 1785 abbandonerà la Scuola Militare di Parigi perchè è destinato a un reggimento di stanza del Delfinato a Valencia.
Ad appena 16 anni inizia per lui la lotta per la vita, il sacrificio per la famiglia e l'avvio per fausti e iridati giorni.
Roberto Busembai (errebi)
Immagine web: Immagine: Napoleon at Brienne. By Réalier Dumas

ALLA PENSILINA



Ancora non era il suo tempo, ovvero era in ritardo ma era pure giustificato visto il traffico odierno che in questa ora di punta si fa molto intenso, era in ritardo e quella simpatica e anziana signora molto previdente, annaspava nella sua enorme borsa nera, alla ricerca di un qualcosa che certo ne voleva subito la risposta. Vestiva in maniera molto pittoresca, una lunga gonna con disegni spiccati e colorati, losanghe e punte, archi e cerchi, insomma un insieme di fiorescenze geometriche e molto appariscenti, sopra aveva una camicetta in rosa e sui capelli corti e bianchi un bel cappello enorme colorato in giallo, e in questo suo cercare si agitava pure smuovendo quella sua colorazione quasi a farne un arcobaleno in movimento. Accanto, prossima proprio a quella sua borsa nera, anche lei in piedi e ferma in attesa, indifferente a quello che vicino le accadeva, stava una ragazza dai capelli neri arroccati di dietro con un semplice nastro, pareva una studentessa tanto era giovane, portava un paio di occhiali da lettura e era intenta a guardare una rivista, mentre il foulard a disegni viola le scivolava dal collo sulle pagine aperte, doveva essere una rivista di moda, ma forse nemmeno quella perchè dal modo in cui era vestita, semplicemente in jeans, fruit celestina e scarpe da ginnastica in colore rosso, non credo che gli interessassero la moda e le sfilate.
Intanto l'autobus tardava ancora e la pensilina si stava sempre più affollando, si era avvicinato sempre a quella anziana signora, ancora indaffarata nella cerca, un giovane uomo di colore, alto, tarchiato, dalla testa monda, vestito con pantaloni in tuta blu acetato e una camicia bianca, che nel fermarsi anche lui in piedi vicino a quelle due signore menzionate, teneva in braccio una bambina di circa tre o forse quattro anni, anche lei di colore ma dai capelli biondi come il grano fermati dietro con una spilla a fiore a farne da coda che le scendeva su una camicetta rosa e con due pantaloncini bianchi a macchie rosse come le scarpine basse che non trovavano pace in quei due piedini penzolanti. Lui era teso, ma non per il ritardo dell'autobus ma per un qualcosa che al momento non si poteva certo capire, ma lo si intuiva dal suo muovere sempre la testa come per aver paura di qualcosa o di qualcuno che dovesse apparire e la bambina quasi ne fosse a conoscenza si stringeva a lui con sempre più invadenza.
Un poco più distante un'altra donna, di circa mezza età, si concedeva il lusso di un caffè appena comprato e portato via in un bicchiera di plastica, bianco con una scritta dorata, naturalmente il nome del bar dove lo aveva ritirato, beveva fino all'ultima goccia portando indietro la testa e alzando alla bocca il bicchiere, mentre con l'altra mano anche lei aveva una rivista, ma si vedeva bene che trattava di cucina, dalla pietanza a colori accesi che appariva in copertina. Vestiva con un taier color sabbia, sotto una camicetta senape leopardiata in verde, una borsa enorme, nera, che teneva a tracolla sul braccio alzato, quello della rivista di cucina, in piedi un paio di scarpe basse di color marrone e nel godersi il bere se ne fregava se doveva ancora aspettare.
Un altro giovanotto di razza indiana, fumava incessantemente e nervosamente, era impaziente e non capiva perchè questo ritardo, aveva sottobraccio un quotidiano, che si presumeva dai fogli già spiegazzati, che lo avesse in buona parte già letto, al polso dell'altro braccio un orologio d'oro o forse solo una patacca, una maglietta bianca enorme che gli scendeva quasi sulle cosce e un paio di jeans fuori misura visto che gli avanzavano sulle scapre bianche in tela.
Ansimava, sbuffava e fumava a più non posso, ogni tanto quando la mano non aveva la sigaretta, si toglieva il berretto azzurro con visiera e passava la mano sulla testa dai capelli neri, quasi ad asciugare il sudore che era provocato dal suo infermo stato agitato.
In un attimo a questo insieme di persone, che non si degnavano assolutamente, ognuno perso nei suoi pensieri o cose, si avvicinò un uomo claudicante, che camminava o faceva finta di camminare con una stampella, aveva in una mano un bicchierio di plastica bianco e con fare molto intransigente si avvicinava nell'elemosinare, urlando appena giunto in quell'insieme di persone... “Datemi una moneta devo mangiare”.
L'anziana indaffarata, tolse subito le mani da dentro la borsa e se la strinse a se come una morsa, quella che beveva, gettò per terra (maleducata) il bicchiere vuoto e si ristette stringendo a se il braccio da dove pendeva la borsa. L'indiano continuò imperterrito a fumare volgendosi però verso un'altra direzione, il negro si scostò di lato e volse l'interesse alla sua bambina facendole qualche smorfia per farla intrattenere. La ragazza con la rivista alzò a malapena gli occhi dal giornale e poi ricadde nel suo mondo con tutta la possibile indifferenza.
“Datemi una moneta, devo mangiare” continuava imperterrito quell'uomo con una stampella vestito con jeans corti di stagione, una canotta verde ben pulita, un cappellino firmato con visiera e l'orologio d'oro e questo patacca non pareva.
In quel frangente arrivò finalmente l'autobus, salirono tutti frettolosamente, l'anziana aveva trovato quello che cercava, il biglietto da convalidare, la ragazza con la rivista aveva l'abbonamento, l'indiano "forse" pure, la signora del caffè convalidò il suo che teneva a modo di segnalibro nella rivista di cucina e il negro con la bambina appena sopra la corriera urlò al guidatore.....
“Aspetti non parta sta arrivando mia moglie!”
L'uomo con la stampella, si sedette alla vicina panchina, mise una mano in tasca, ne estrasse un mucchio di spiccioli di soldi, poi sotto la seduta vi nascose la stampella e si rialzò e camminando senza si avvicinò ad un bar e entrò dentro, sicuramente a fare colazione, come faceva sempre!
Roberto Busembai (errebi)
Immagine: Max Ginsburg - Bus Stop

IL LIMITARE DEI PIOPPI

Vado camminando come un elefante poso le tracce ma infondono soltanto come un passerotto, e lascio nel cielo un alito leggero di profumo mis...