mercoledì 6 novembre 2019

ROMAIN GARY - LA VITA DAVANTI A SE

Ci sono momenti nella vita di un lettore, in cui si sente quella pochezza interiore che certi libri magari hanno contribuito a sollevarla, a renderla ancora più reale, e in questi momenti sorge quel lasciarsi andare che porterebbe alla fine del processo di lettura. Ma come in ogni cosa è proprio quando si tocca il fondo che c'è una luce, un qualche cosa che ti fa risollevare e che magari non ti aspetteresti nemmeno. Ebbene eravamo prossimi agli anni 80, avevamo attraversato, noi giovani di allora, un periodo piuttosto movimentato socialmente parlando, forse avevamo anche troppo le menti offuscate o invasate, non voglio entrare in merito o meno su certi sconvenienti argomenti, ma comunque avevamo, almeno io e tanti come me, letto cose quasi indotte, anche se tante ne scoprivamo e le facevamo nostre senza alcuna interferenza. E comunque quando poi si matura, i fatti sia personali che pubblici si mescolano e cangiano come spesso accade, si rimane un poco vuoti di tanto aver letto e si cerca un qualche cosa che sia d'impatto o che almeno insegni e dia un qualche cosa di diverso. E fu allora che trovai questo meraviglioso libro di un autore che appena edito si faceva chiamare Emile Ajar ma che poi dopo vari anni annunciò la sua vera identità, Romain Gary, un cittadino francese ma di origine lituana, che purtroppo nel dicembre del 1980 si suicidò e il fatto destò, almeno in coloro che lo conoscevano e in coloro che espressamente avevano letto questo libro, sorpresa e titubanza, insomma lasciò un poco interdetti in quanto non ritrovavamo il fatto possibile per come lui scriveva e “pareva” amasse la vita.
“La vita davanti a se” è un romanzo, scritto in prima persona, che parla di un ragazzo, presumibilmente di dieci anni, lui stesso lo presume, Mohammed, detto Momò, che vive a pensione da una vecchia Madame Rose, una donna, ebrea, sfuggita allo sterminio nazista, che in giovane età esercitava il lavoro più famoso nel mondo sui marciapiedi di una Parigi desolata e distrutta. Momò era a “pensione” perchè figlio di un “incidente” di questo lavoro di una carissima amica e collega di Madame Rose. Lui è di origini arabe e naturalmente è difficile potersi confrontare con persone di diversa estrazione sociale, il suo mondo è quel quartiere, dove poi vivono quasi tutte le “specie” di emarginazione, tra meretrici, travestiti, immigrati africani, e questo mondo lo accetta e lo conosce solo così. E' la vita davanti a se, quella di sempre e quella reale, quella che lui non sa nemmeno se sia da confrontare e vivere come adulto con tutte le problematiche di linguaggio o da bambino, sempre che lui lo sia o lo sia stato in quanto ha sempre avuto pensieri per la testa diversi da quelli che un bambino dovrebbe avere. E le considerazioni che nascono in se portano a chiedersi se poi quella tanto sospirata corsa verso la felicità ne valga la pena, la felicità è talmente poca che lui pensa che non ne valga davvero la pena cercarla, la “vita davanti a se” è quella, e in quella poi si aggiunge il tormento e la condizione di una sopraggiunta vecchiaia, dove sopraggiunge la lotta contro quella vita, contro i dolori e contro le malattie. E di fronte a questa vita Momò pone al vecchio amico e ormai cieco Hamil una domanda “si può vivere senza qualcuno da amare?.
Momò la vita davanti a se la vive, deve viverla non può permettersi di viverla diversamente e saprà anche che non si può vivere ( bambini o vecchi, arabi o ebrei) senza qualcuno da amare...”bisogna voler bene”
E questo ultimo messaggio penso che sia sempre un buon motivo per vivere e che dovrebbe essere proprio questo il monito “sempre attuale” per cui “vale la pena vivere”.
Roberto Busembai (errebi)
Immagine web: Copertina del libro

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