domenica 30 giugno 2019

DI DOMENICA SI ANDAVA AL FIUME

E di domenica solitamente si andava al fiume.
“ Si, va bene allora come al solito, grazie Nada” e posò la cornetta del telefono con un gusto allegro sulla faccia, mia zia aveva allora concordato con la sua amica, l'incontro per domani per una scampagnata, che poi era la solita di quasi tutte le domeniche d'estate.
L'appuntamento era nella piazza di un piccolo paese vicino alla città, ma per raggiungerlo i miei genitori prendevano la “corriera” carichi di borse con dentro le cibarie per il pranzo del giorno, io invece salivo sul sedile dietro la bicicletta di mia zia, avevo circa dieci anni, ed ero ancora piccoletto di statura, mingherlino, non pesavo molto, e lei mi portava sempre ovunque andasse, ed io sinceramente l'adoravo quel farmi trasportare guardando qua e la, la gente e le cose che mi passavano accanto.
Si arrivava che già c'era Nada con l'auto del suo genero e la sua sorella, che ci aspettavano, i miei genitori erano già arrivati e avevano provveduto a caricare l'auto. C'era anche Santino (Sante), il loro figlio, il mio amichetto d'avventure, ma di primo mattino se ne stava sempre quieto e pareva stanco, tanta non aveva voglia nemmeno di salutare. Io sarei salito con lui e con un altro zuo zio, Salvatore, un giovane “scapolone” di circa trent'anni, sempre sorridente e giocherellone, sull'Alfetta usata, così diceva, i miei sulla 600 del padre di Santino.
Ma non si camminava poi tanto, il fiume era vicino, si scollettava il poggio di riparo e tra le alte pioppete e una strada bianca di ciottolati e sassi di fiume si lasciavano le macchine e si scendeva nel letto del fiume, tra rena e sassi, tra canne e vegetazione.
Un plaid a quadri, una tovaglia, piatti e bicchieri in vetro, posate e tutto il resto, ma io e Santino non ci interessava, già eravamo a correre e a gettare sassi dentro l'acqua a disputare un'ennesima gara a chi li lanciava più lontano. E c'era Pasquale, si lo “scemo” così dicevano allora, il fratello di Salvatore che se lo portava sempre appresso nelle domeniche di sole, un poco per farlo divertire, un poco per fargli compagnia, un poco anche perchè lui ci stava davvero male saperlo sempre rinchiuso in quella clinica e non poter fare diversamente, erano soli e lui aveva da lavorare per poter mandare avanti tutti e due. Pasquale era diverso, ma non perchè stava male, era diverso perchè aveva un cuore, un enorme cuore e spesso mi pareva di giocare con un bambino invece che con un uomo di quasi quarant'anni, ed era tenero e felice di ogni cosa e di ogni parola, e stava bene con noi, io e il Santino.
Avevo nella testa un'idea fissa, la colt del cowboy, e Santino faceva sempre lo sceriffo, io portavo nella fantasia un cavallo bruno, lui aveva la stella, e gli indiani erano sempre nascosti tra le canne o nell'isoletta di sabbia che si formava in mezzo al fiume, e Pasquale faceva il becchino, contando sempre i morti per fare le bare, e dava sempre in premio a chi credeva lui, un sasso enorme, liscio e levigato, perché era il meglio chi più aveva "ammazzato".
E il pranzo tutti in circolo, seduti in terra o su un mucchio di sassi preparato, non mancava di nulla e c'era pure chi osava fare un piccolo falò, una gratella, e ricordo ancora le scorpacciate che facevo di “ranocchi fritti” che se dovessi assaggiarne uno ora, ne morirei di certo di schifezza.
Poi il riposino, le parole incrociate, le carte, a me piaceva giocare a scala, a Santino bricola, ma si finiva sempre a fare “l'uomo nero” perchè era l'unico che anche Pasquale ci sapeva giocare.
E di domenica solitamente si andava al fiume, e vorrei ancora ritornare, non tanto per ritrovare le stesse situazioni o persone, ma per davvero sapere dove è ora Sante e se Pasquale vive ancora con il suo sorriso grande e con quei suoi abbracci imponenti ma tanto, tanto pieni d'amore.
Roberto Busembai (errebi)
Immagine web

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